Giuseppe Pontiggia è nato in una clinica di Como il 25 settembre 1934, da famiglia piccolo-borghese residente ad Erba: una cittadina o, forse meglio, allora un paese della Brianza settentrionale, ricco di memorie storiche e, per secoli, centro di villeggiatura dell’aristocrazia lombarda. A Erba, nella libertà della campagna e delle vicine montagne, l’autore trascorre la sua infanzia con il fratello Giampiero, la sorella Elena ed il cugino Ezio Frigerio, che diventerà poi scenografo di fama internazionale. Ma sono anni brevi, che la Seconda Guerra Mondiale turba con i bombardamenti, la paura e, soprattutto, con la tragica morte del padre. Due giovani uomini armati, nell’incanaglire della guerra civile, lo uccidono per ragioni mai chiarite una sera del novembre 1943. La madre, casalinga, che era stata attrice dilettante e aveva uno spiccato amore per il teatro, si trova sola ed in difficoltà economiche: da qui, alla fine della guerra, i trasferimenti della famiglia a Santa Margherita Ligure, poi a Varese, infine, nel 1948, a Milano, dove Pontiggia completa gli studi classici, abbreviando il corso del Liceo Ginnasio e prendendo il diploma di Maturità a soli diciassette anni. Impiegatosi subito in una banca milanese, ne sperimenta il grigiore e la volgarità, rievocati liberamente nelle pagine del primo libro La morte in banca, in cui confluisce parte dell’esperienza autobiografica:

 

“Si ricordava della parola travet, che avevano cercato di inculcargli nei primi giorni di banca. Allora si era rifiutato di accettarla.

Invece ora si sorprendeva più volte a ripensarla, a rinfacciarla mentalmente ad alcuni suoi colleghi. Per classificare certi atteggiamenti, certe frasi per lui incredibili in uomini più maturi. Forse erano vittime di quel tipo particolare di lavoro, che non era assillante come al Portafoglio e lasciava tempo ai pettegolezzi e alle rivalità: e diventava presto monotono, uguale, con il capo che giudicava solo quantitativamente, senza distinguere tra una personalità e l’altra”.

 

Contemporaneamente, si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica di Milano, sperimentando la non facile condizione dello studente lavoratore: si laurerà con Mario Apollonio nel 1959, con una tesi sulla tecnica narrativa di Italo Svevo. Sono anni duri, appesantiti per giunta da nuova tragedia familiare: nel 1955, a soli diciannove anni, nonostante la bellezza e la giovinezza, si toglie inesplicabilmente la vita la sorella Elena. Intanto, si fanno più importanti i rapporti intellettuali con il fratello Giampiero. Con lo pseudonimo di Giampiero Neri, questi si affermerà poi come uno dei maggiori poeti italiani di questi anni, il ‘maestro in ombra’ in cui si riconoscono i migliori delle nuove generazioni, stanchi della ripetitività neo-simbolista e decadente a cui l’odierna poesia italiana sembra troppo spesso costretta. E gli scambi letterari e teoretici fra i due fratelli appaiono davvero tanto significativi, pur nelle notevoli differenze, che meriterebbero presto un saggio specifico.

I giovani Pontiggia condividono la passione per l’arte, la musica classica e per il jazz, o per la letteratura. Si parla fra loro di Melville, di Henry James; a Giuseppe Pontiggia interessano molto anche Kafka, Dostoevskij, Maupassant, Flaubert, Joyce, Manzoni, Twain e specialmente Hemingway (quello dei 49 Tales): è l’autore caro fra gli altri a Pavese e Vittorini, scrittore quest’ultimo incontrato dal giovane Pontiggia che ne ha ricevuto un incoraggiamento decisivo alla letteratura. Ma quelli sono anche gli anni del “verri”, la rivista di letteratura fondata a Milano nel 1956 dal critico Luciano Anceschi.

Pontiggia entra a far parte della redazione del “verri” e contribuisce a formare il gruppo da cui uscirà la Neo-avanguardia italiana. È in stretto rapporto anche con Nanni Balestrini e con Antonio Porta, alla cui poesia dedicherà uno scritto critico importante, cioè la Prefazione ad Antonio Porta, Quanto ho da dirvi. Poesie 1958-1975, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 7-13. Nel volume L’arte della fuga, traspare appunto uno scambio fecondo di esperienze formali, che si collocano sullo sfondo delle ricerche letterarie promosse dalla Neo-avanguardia, dal Gruppo 63 e dal “verri” che, negli anni Cinquanta-Sessanta – quelli del boom economico, che muterà definitivamente il tessuto socio-economico dell’Italia, in senso moderno e industriale –, combatté con non poco merito i residui sia del neo-realismo sia della cultura ermetica.

Nel frattempo, Giuseppe Pontiggia lascia la banca e diventa insegnante di Lettere (Lingua e Letteratura Italiana e Storia) presso gli Istituti Tecnici e per molti anni sarà un docente delle scuole serali di Milano. Inizia, infine, l’attività di consulente, che svolge a lungo, e in parte tuttora, presso le case editrici Adelphi e Mondadori.

 Nel 1963 si sposa con la dinamica ed intelligente Lucia Magnocavallo; nel 1969 nasce il figlio Andrea: un ragazzo disabile per alcuni problemi motori, che stimolerà lo scrittore a confrontarsi con la realtà dell’handicap, alla cui riflessione culturale egli dà un contributo di sensibilità e penetrazione critica, ma anche di straordinaria forza espressiva nel suo capolavoro Nati due volte (2000). Nel 1978, arriva il grande successo con Il giocatore invisibile, da cui è tratto l’omonimo film svizzero, interpretato da Erland Josephsson; poi le tappe significative, della selezione prima (con Il raggio d’ombra, 1983), della vittoria, poi, dello Strega nel 1989, che premia La grande sera; per non dire dell’eco sollevata dal romanzo Vite di uomini non illustri (1993) e dalle raccolte di saggi L’isola volante (1996) e I contemporanei del futuro. Viaggio nei classici(1998). Non si dimentichi, infine, che, nel 1992, la silloge di aforismi Le sabbie immobili (1991) ha ricevuto il Premio Satira Politica di Forte dei Marmi.

Come abbiamo già accennato, dalla metà degli anni Ottanta, Pontiggia tiene corsi di scrittura creativa, in Italia e all’estero (Svizzera e Francia), che suscitano particolare attenzione e consenso. Specialmente attesi, infine, sono i suoi Album: pagine di narrazioni, divagazioni, critica etc., che appaiono la prima domenica di ogni mese, sul quotidiano milanese “Il Sole-24 Ore”, e che contribuiscono a farne ulteriormente apprezzare la capacità di penetrazione e lo stile potente.