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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 167

David Ciolli

Quinto non uccidere. Aforismi e riflessioni per un mondo migliore. Prefazione di Annamaria Manzoni.

ISBN 88-7588-045-X, 2010, pp. 160, formato 140x210 mm., Euro 8 – Collana “Lo spazio della vita” [1].

Copertina ed editing a cura di Moreno Fabbri.

indice - presentazione - autore - sintesi

8,00

Il senso del lavoro di David Ciolli di riunire insieme aforismi, citazioni, riferimenti al mondo animale non è pura operazione letteraria, se pure esiste questa componente, perché è grazie al valore suggestivo ed evocativo di tanti richiami che la lettura va a risvegliare qualcosa che è nel nostro io profondo, oltre il pensiero e la razionalità, e ci muove a nuove consapevolezze.

È soprattutto un modo per riconoscere dignità agli altri animali attraverso le parole degli uomini che da duemila anni a questa parte guardano la realtà anziché la rappresentazione di comodo che ne viene fatta.

Sono loro, Plutarco e Leonardo, Teofrasto e Montaigne, Gandhi e Luther King, e la schiera folta di tutti gli altri, che hanno colto l’inenarrabile insensatezza della crudeltà che da sempre l’uomo ritiene di elargire a piene mani agli animali, grazie all’unico diritto che glielo consente: quello del più forte.

Sono tutti coloro che vedono negli altri animali bellezza e dolcezza, che non confondono la loro mitezza con la codardia né la loro pazienza con la stupidità; sono tutti coloro che riconoscono nella fragilità e nella vulnerabilità che appartiene alla condizione di esseri viventi il comune denominatore delle vite di noi, animali umani, e di loro, animali e basta.

Negli ultimi decenni si sono moltiplicati i movimenti che fanno della liberazione degli animali dalla sofferenza e dalla ingiustizia il proprio scopo e propongono una nuova etica, in grado di scavalcare i confini di specie: perché non esiste moralità se dall’universo morale sono esclusi miliardi di esseri condannati a riprodursi per vivere e morire da schiavi; non ha valore la compassione se si ferma là dove esseri indifesi e straziati inutilmente la chiedono.

Ma, nonostante questo vasto movimento che amplia l’empatia al mondo degli altri animali, è solo una piccolissima parte di loro a trarne beneficio a fronte dell’incredibile numero per cui il tormento non ha sosta.

A ognuno di noi decidere se considerarci signori delle altrui vite e delle altrui morti o invece vivere insieme a tutti gli altri esseri viventi come compagni di uno stesso viaggio: se quest’ultima sarà la nostra scelta, potremo almeno evitare di dovercene un giorno andare indignati, come diceva Saramago, per essere transitati da questo mondo e non averlo cambiato. Così come è non ha ragione di esistere.

Grazie allora a David perché, nella consapevolezza della grande ingiustizia che governa le cose di questo mondo, ha frugato fino a trovare e dare spazio a parole di luce.

 

 

 Annamaria Manzoni

 

 

 

Immagina di essere un extraterrestre che, passando per caso dalle parti del nostro pianeta, attratto dalla sua bellezza si fermi ad osservare, incuriosito, le miriadi di attività che qui si svolgono. Fitte macchie di verde, solcate da brillanti strisce d’argento che come vene percorrono valli e pianure diramandosi in infiniti rivoli brillanti. Alte vette biancoazzurre che sembrano toccare il cielo in un’ascesa e in un digradare senza fine. Sconfinate distese di blu intenso che fluttuano e respirano seguendo misteriosi ritmi ancestrali. Nell’insieme, un magnifico organismo che pulsa, animato da un incessante cambiamento, scandito da ritmi millenari. La dimora di organismi più piccoli, la cui varietà sarebbe impossibile da enumerare e la cui bellezza sconvolgerebbe anche il viaggiatore spaziale più navigato.

In mezzo a questo brulicante effluvio vitale, strane concrezioni si distinguono sia per il loro opaco e monotono colore, sia per le grigie e maleodoranti esalazioni che ne emanano, sia per le strane occupazioni che sembrano assorbire i suoi inquieti abitanti. Questi, infatti, sempre in moto verso qualcosa che essi stessi non riescono a vedere, non si limitano a gettare ogni tipo di schifezza sui dolci suoli che madre Terra ha fornito, ma, oltre a distruggere tutto quello che capita loro a tiro, cercano in ogni modo di sopraffare i suoi coinquilini e di esaurire ogni tipo di risorsa che la terra elargisce. Ma, non contenti di questo, opprimono, sfruttano e uccidono senza riguardo i loro fratelli, avvelenano le acque e l’aria. Ma questo non basta. Presi da una furia di cui non sanno neanche spiegarsi il perché, e decisi più che mai a non lasciare intatto niente, lanciano ogni sorta di diavoleria in cielo e in terra, addirittura sotto il mare: bombe, razzi, missili. E non si accorgono che tutto questo lo fanno a se stessi. Ogni tanto strani bagliori di luce vivissima prorompono nell’aria, portando morte e distruzione indiscriminata nella terra come negli oceani.

È divertente vedere dall’alto questi minuscoli insignificanti esseri che, pensando ognuno di appartenere a mondi distinti, di essere al centro dell’infinito universo, si distruggono con cura vicendevole e con una costanza degna di lode. L’extraterreste a questo punto è molto incuriosito, perché capisce che una qualche forma di pestilenziale virus ha infettato questo bellissimo gioiello celeste. Qualcosa è andato storto. L’unica fortuna, a quanto pare, è che lo stesso virus sembra trarre piacere dalla distruzione di se stesso, oltre che di ciò che lo circonda, e che quindi non vi sarà il problema, per la Confederazione Galattica, di curarsi del suo annientamento. Probabilmente resterà il rammarico per la perdita di un così brillante e perfetto meccanismo, tanto fecondo di possibilità e di varietà.

Avete mai visto qualcuno che taglia il ramo su cui è seduto? E se voi diceste a quell’uomo che cadrà, che sta facendo un errore e lui, per tutta risposta, invece di gettare via la sega che ha in mano cominciasse ad usare la motosega e ad accanirsi con ancora maggior veemenza sullo stesso ramo, voi come lo considerereste? Bene: questa stravagante forma di vita che si chiama essere umano sta distruggendo la sua casa, nei modi e nella misura che ormai ci appaiono sempre più chiari. Ma la cosa più esilarante, oltre la scena di cui sopra, è che questi esseri, scambiando il loro pur misero potere con una qualche forma di superiorità infusagli da entità celesti, si definiscono intelligenti. Sì, avete capito bene. E lo fanno con una tale pervicacia che finiscono inevitabilmente per crederci. Intanto, in virtù di questa qualità superiore, che li contraddistinguerebbe da tutte le altre creature e darebbe loro altresì il diritto di di-sporne a proprio piacimento, rende assolutamente invivibile l’aria che respira e sterile la terra che lo ha generato, trasforma in mefitiche pozzanghere gli oceani che gli diedero la vita e che dovrà lasciare in eredità ai suoi figli. In poche parole, uccide se stesso e gli altri, giustificando tale comportamento col fatto di essere portatore di un messaggio di ordine superiore, e che il cammino della scienza e del progresso (e soprattutto della stupidità, ma questo non diciamoglielo perché è molto permaloso), val bene l’estremo sacrificio dell’intero pianeta, non accorgendosi che nel suddetto sacrificio è compreso lui stesso e le profondità della sua scienza, che avrebbe dovuto dargli l’agognato benessere. Così, contrapposte fazioni discutono su quale sia la migliore forma di governo, di come poter dare nuovo impulso all’industria, di come incrementare sempre più la produzione di cibo per rimpinzare di ulteriori grassi le pingui rotondità degli uomini occidentali, per poi avvelenarli con intrugli di ogni tipo, onde combattere i mali che così si sono da se stessi provocati. Di come stipare le casse delle banche di una sempre maggiore quantità di foglietti di carta colorati, mentre la distruzione dell’ambiente mette a rischio la sopravvivenza stessa di tutto il pianeta, rende vano ogni tentativo di vero progresso ed inutili le conoscenze che ci vantiamo di aver accumulato.

Quale essere sarebbe tanto sciocco da riempire di fumo pestilenziale l’aria della stanza in cui vive? Da cospargerne il pavimento con veleni mortali? Da gettare letame nell’acqua che deve bere? Già. Quale essere? Ma certo. Avete indovinato. Non era difficile. Lo stesso essere che, per ovviare all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, ingegnosamente alza il livello legale di tollerabilità del nostro corpo ai veleni in essi contenuti. Trovata geniale! Lascia attoniti che un essere così poco arguto sia capace di tanta scaltrezza. Soprattutto visto che quei veleni, inspiegabilmente sprezzanti delle leggi umane, andranno a depositarsi nei nostri corpi provocando tumori e così via.

Ed ecco come si risolve la questione.

No. Ancora no. Diamo uno sguardo oltre.

 

C’era una volta, in un paese lontano lontano, un villaggio in cui tutti gli esseri senzienti vivevano uno a fianco dell’altro con reciproco rispetto e amore. Non era difficile vedere orsi giocare con cuccioli d’uomo, o anatre volare sopra la testa di uomini sorridenti che si riunivano proprio per ammirarle. In questo villaggio si godeva di buona salute, tutti erano felici. Ognuno aveva le stesse opportunità e gli stessi diritti degli altri. Si divideva tutto quello che la terra offriva e non c’era bisogno di guerre. Non c’era niente da conquistare, perché tutto era sempre a disposizione di tutti. Non c’era bisogno di chiudere le case con le serrature, perché ognuno era sempre il benvenuto. I soldi non servivano, perché i frutti della terra erano considerati un bene comune e divisi in parti uguali fra tutti. L’idea stessa di uccidere altri esseri senzienti per cibarsene era considerata così raccapricciante e disgustosamente nauseante, che nessuno avrebbe mai pensato di poter causare la morte altrui. Si dava per scontato che la vita fosse degna di venerazione in ogni sua forma, e che scopo comune dovesse essere il mantenimento del pianeta in buona salute. Ogni animale era visto per quello che era, un essere degno di vita per il fatto di esistere, non come una preda da uccidere, squartare e trasformare in ‘delizioso’ manicaretto.

Sì sì, diranno alcuni, lo sappiamo. La solita visione utopistica dell’idealista di turno. Parliamoci chiaro, grideranno con tono di scherno i realisti, quelli coi piedi per terra (finché ci sarà una terra), l’uomo è superiore per natura, o forse per dise-gno divino, chissà, e quindi è giusto che (ab)usi di ciò che per diritto gli appartiene. E l’idea di una vita basata sulla benevolenza e sulla compassione è solo una fanfaronata buona per chi è ancora attaccato a sogni da femminuccia ormai sorpassati. Lasciamo questa idea ai Maestri. Il mondo non gira così. Il progresso è il nostro scopo sulla terra, non le stupide melensaggini tipo amore e fratellanza, del tutto fuori luogo, irreali, false. E ben vengano diserbanti, allevamenti, deforestazione ed anche, anzi soprattutto, le centrali nucleari.

Da questi e da simili ragionamenti, che non è poi così raro ascoltare, ne deduco che il benessere di tutta l’umanità richie-de l’estinzione della stessa. Strano ragionamento!

E la soluzione promessa? Eccola. Riallacciandomi alla saggezza degli indiani d’America (ovviamente sterminati dall’uomo civilizzato di cui sopra) la chiamo Visione.

Cosa manca all’animale umano per evitare di distruggere il pianeta? Gli manca la Visione. Gli manca la capacità di mettere in relazione le cose fra loro. Se l’uomo capisse che tutto è collegato, che la sofferenza inflitta ad un qualsiasi essere, oltre che esecrabile per se stessa, è anche direttamente collegata alla sofferenza dell’intero pianeta, anche alla nostra; che la violenza che esplode ogni giorno fra noi animali umani, nelle strade, fra le nazioni o fra le mura delle nostre case, è direttamente collegata a quella vissuta ogni giorno da milioni di animali che, dentro gli allevamenti, i macelli, i laboratori di vivisezio-ne, gli allevamenti per la produzione di pellicce, sopportano indicibili torture per soddisfare futili esigenze umane; che non possiamo sfruttare indiscriminatamente tutto ciò che ci capita sotto mano, perché la Terra è un sistema chiuso, le sue risorse sono limitate e una volta esaurite non ci resta che gettarci nel baratro che noi stessi abbiamo scavato (questo anche un bambino scarsamente dotato di intelligenza lo capirebbe); se, in poche parole, non colleghiamo i nostri destini a quello dell’intero pianeta e di tutti gli esseri che lo abitano, ma ci limitiamo a bendarci gli occhi e a sperare che altri pensino al posto nostro, non potremo che attenderci le inevitabili conse-guenze. Tutti noi siamo connessi, in modi più o meno evidenti, a tutto ciò che ci circonda e che fa parte della biosfera. A livel-lo spirituale siamo tutti parte di una stessa famiglia. Questo è il nuovo paradigma che anche la scienza sta scoprendo e che i mistici ci hanno sempre insegnato (“Tutto è uno”, “tutto è in tutto”, “Come in alto, così in basso”). La morte di mi-gliaia di bambini del Terzo Mondo è direttamente collegata al nostro consumismo, alle nostre abitudini alimentari sbagliate. Che senso ha affamare milioni di persone e farle ammalare coi nostri modi di produzione e di consumo e poi mandar loro le medicine per guarire dalle malattie causate dalla malnutri-zione? È vero che così facendo i paesi occidentali ci guada-gnano il doppio, almeno in termini di denaro, perché prima sfruttano quei paesi e poi vendono loro la falsa soluzione a quello stesso sfruttamento. Ma alla fine dovremo subirne le conseguenze. Chi semina vento raccoglie tempesta.

Questa piccola antologia di aforismi, lungi dall’essere completa, vuole solo dare un colpetto sulla spalla di chi ancora crede alla favola che continuamente ci raccontano attraverso i media, cioè che il mondo andrebbe avanti grazie all’economia, alla politica, e che l’uomo avrebbe bisogno di belle macchine, bei vestiti, tante medicine, tanta carne nei piatti, per poter essere felice e sano (“I folli non sanno accontentarsi del necessario” - Wen Tzu). Noi tutti viviamo sotto questa ipnosi collettiva che ci rende ciechi ai valori veri ed essenziali che Madre Natura da sempre ci insegna, tanto che non ci accorgiamo nemmeno, come abbiamo detto, che stiamo facendo saltare in aria la nostra stessa casa. I metodi per tenerci in questa condizione ipnotica sono molti, i pubblicitari li conoscono, i politici ci vanno a nozze. Uno di questi è confondere le menti mandando continuamente messaggi contraddittori, come: le macchine inquinano però compratele e usatele, altrimenti mi-lioni di persone rimangono senza lavoro e l’economia mondiale va a rotoli; anzi vi diamo incentivi pagati con le vostre tasse per farvi buttare via la vostra vecchia auto, che poi dovremo smaltire inquinando ulteriormente l’aria e il mare; le sigarette fanno venire il cancro, però sono utili per le casse dello Stato, quindi è meglio se fumate; l’alcool uccide migliaia di persone, però il suo consumo è legale ed è quindi tranquillamente venduto in ogni supermercato; vogliate bene agli animali, però mangiateli, perché l’industria della carne dà lavoro a troppe persone. Anzi, anche se la carne è causa di tumori e malattie cardiovascolari, diamo sovvenzioni ai suoi produttori. Pagate con le vostre tasse le cause stesse delle vostre malattie. Questa è intelligenza! E poi, ci dicono, l’uomo è carnivoro, è cacciatore per natura. Eppure nessun cucciolo d’uomo salterebbe addosso ad un coniglio per sgozzarlo e sbranarlo. Il nostro organismo è del tutto inadatto al consumo di carne. Volete vedere come sono belli gli animali? Andate allo zoo, ai circhi, dove tristissime creature, private di ogni naturalezza, sono ridotte in schiavitù (a quale scopo?), fatte impazzire, maltrattate e messe in vetrina, esposte al pubblico ludibrio. “Ma lo facciamo per loro no? Altrimenti si estinguerebbero.” Si o-mette che la causa della loro prossima estinzione siamo proprio noi. E tutto questo si vorrebbe spacciare per educazione!

Vi piace Bambi, vero? E quanto è odioso il cacciatore che uccide sua madre (anche se non si vede!). E noi non facciamo tutti i giorni lo stesso massacro? O forse crediamo che i polli e le bistecche che vediamo nei negozi crescano già confezio-nati sugli alberi? O che il macinato del ragù di cervo servito nelle trattorie di campagna sia impregnato della sostanza dell’animale per qualche magico fenomeno di transustansa-zione? C’è stato un tempo in cui quell’informe tritura era un cervo che scorrazzava felice nei boschi. E perché nessuna scuola proporrebbe mai una visita guidata ai macelli? Non siamo forse animali carnivori? Che male ci sarebbe a far vedere ai bambini le catene di smontaggio delle belle, possenti e pacifiche mucche, appese per una gamba mentre fiotti purpurei sgorgano dal bianco collo, trafitte da gesti che si ripetono con automatica freddezza, gli occhi sbarrati in attesa della morte; che male ci sarebbe far vedere i maltrattamenti e le condizioni rivoltanti in cui sono tenute, lo scannamento in serie dei polli, la cottura dei maiali vivi urlanti che si dimenano per produrre il tenero e asettico prosciuttino posto nelle variopinte vaschet-te, i fiumi di sangue che con indifferenza vengono versati in barili incrostati o nei secchi per diventare additivi di vario genere della nostra alimentazione? Se veramente fossimo carnivori questo dovrebbe darci una certa eccitazione, inebriare i nostri sensi, e non, come invece avviene, toglierci l’appetito per sempre.

E comunque non ci sarebbe motivo di nascondere, cosa che facciamo con tanta premura, qual è la vera storia della carne e del pesce che mangiamo, del latte che beviamo, convinti che sia un alimento naturale e salutare, delle uova che fanno tanto bene ma che costano la vita a milioni di pulcini maschi che non fanno in tempo a vedere la luce (dei neon) e già si ritrovano macinati vivi nei tritacarne per andare a far parte della composizione delle crocchette per i nostri cari amici animali domestici, oppure dei concimi, o dei mangimi dati alle mucche o alle galline stesse, che mangeranno i loro stessi piccoli! Che motivo ci sarebbe di nascondere tutto questo se non andasse violentemente contro la nostra più profonda natura?

A proposito di latte, forse non tutti sanno che per produrre latte è necessario “produrre” vitelli (da non crederci!), i quali vitelli, separati subito dalla madre, che piangerà per molti giorni, vengono trascinati in stretti recinti, ingrassati a volon-tà e macellati a pochi mesi di vita per produrre le deliziose fettine di carne bianca, tanto care al palato ed agli occhi dei raffinati signori occidentali. Quei cuccioli, che non hanno mai visto la luce del sole e la loro madre, che per tutta la loro breve esistenza si sono cibati di schifezze brodose e di sostanze chimiche atte a gonfiarne la crescita e a causarne l’anemia per mantenerne chiara la carne (il latte materno non sanno cosa sia), si guardano attorno chiedendosi in quale razza di inferno siano capitati. Le loro madri, dopo essere state costrette a partorire ripetutamente, sfruttate fino al midollo, quando diventano non più produttive, verso i 5-6 anni di età, vengono appese vive ad un gancio, scannate e macellate. Ma questa per loro è la fine di una sofferenza, non della vita. È la fine di un inferno di cui noi siamo i demoni.

E il problema della deforestazione? L’80% della deforesta-zione serve a fare posto ai pascoli o alla coltivazione di cereali ad uso zootecnico, e gran parte dell’acqua potabile che viene consumata dall’uomo è per produrre carne. I due terzi delle terre coltivate servono alla produzione di mangime per animali (geneticamente modificato). Molta dell’energia im-piegata in questo processo viene sprecata sotto forma di gas nocivi ed escrementi, che aumentano in modo determinante (circa il 20%, ovvero più dell’inquinamento provocato da tutti i mezzi di trasporto umani) il buco dell’ozono ed inquinano le preziose falde acquifere in modo irreparabile. Ciò che rimane di questo spreco (il 90% va perduto), la carne vera e propria (zeppa di ormoni e antibiotici), tolte le ossa e tutto il resto, va a nutrire, provocando malattie gravissime, una piccola percentuale di esseri umani, mentre il resto del mondo muore di fame. Se il 10% delle persone che ora consumano carne diventasse vegetariano, il conseguente risparmio di risorse naturali sarebbe sufficiente a sfamare 60 milioni di persone. Vice-versa, la terra non potrebbe in alcun modo sopportare lo stile alimentare occidentale se tutto il mondo lo adottasse. Infatti, per produrre 1 Kg di carne bovina necessitano almeno 15 Kg di vegetali, 50.000 litri di acqua, 6 mq. di foresta, 1,5 litri di petrolio. Non avete più da chiedervi come mai il ritmo della deforestazione sia così vertiginoso. In altre parole, ci nutriamo della sofferenza non solo degli animali ma anche di tutti gli esseri umani che muoiono per malnutrizione. Ed ecco servita su un piatto d’argento la risposta alla questione che spesso viene sollevata: “perché invece di pensare alle bestie non pensate ai bambini che muoiono di fame?” A quelle persone, che quasi sempre non muovono un dito né per gli animali né per i bambini, basta far conoscere come tutto sia collegato, e come il modo più efficace di pensare agli umani malnutriti sia quello di cambiare le nostre insane e insostenibili abitudini alimentari. Lo stesso dicasi per l’emergenza acqua e per l’inquinamento.

Per renderci conto della portata del fenomeno serve qualche numero. Ogni anno nel mondo vengono uccisi a scopo alimentare 170 miliardi di animali (non è un errore di stampa: 170.000.000.000 di morti ogni anno). Circa 300.000 animali ogni minuto. Solo in Italia muoiono 100 animali ogni secondo. Sono esclusi dal triste conteggio i miliardi di pesci e le vittime di vivisezione, caccia, industria delle pellicce, maltrattamenti, abbandono, svago umano! Le variazioni sul tema, infatti, sono moltissime, anche se non hanno le proporzioni tragiche degli allevamenti per la produzione di carne: sorvolando sulle varie corride e simili prove dell’umana saggezza, penso alle fabbriche di bile cinesi, con gli orsi tenuti in bare di bambù, impossibilitati a muoversi, trafitti da una cannula che preleva costantemente la loro bile; penso alla strage di squali, prassi comune in molti paesi del sud-est asiatico, che vede migliaia di pescecani arpionati, privati col coltello delle pinne (che avrebbero virtù terapeutiche) e poi rigettati in mare vivi ma destinati a morire d’inedia sul fondo; penso agli animali adoperati ancora in molti paesi per addestramenti militari, a cui si impone ogni genere di sevizie per abituare alla morte i promettenti giovani soldati, valorosi custodi del nostro futuro; infatti nei campi di addestramento di alcune nazioni si usano gli animali per le cose più inutili: cani uccisi a pugni, pecore a cui vengono strappate con violenza le zampe, maiali su cui vengono testati gli effetti cerebrali delle bombe, ecc.. Penso alla caccia delle balene, destinate, come gli squali di cui sopra, all’estinzione; alla caccia dei rinoceronti e degli elefanti per impossessarsi dell’avorio o dei corni dalle presunte proprietà magiche. O solo per fare una bella collanina. Gli esempi sono innumerevoli, quasi nessuno ne è a conoscenza, ma questi bastano a farci capire dove stiamo andando e a quale grado di deterioramento morale siamo arrivati. Una volta vidi in tv il perpetuarsi di una barbara tradizione in una regione costiera dell’Inghilterra: centinaia di delfini, che passavano da una certa regione per ragioni migratorie, venivano massacrati a colpi di ascia, tagliati a metà con coltelli affilati e poi lasciati lì da sedicenti pescatori, trasformando il mare in una pozza di sangue brulicante di pezzi di carne morta. Tutto questo perché? Nessuno lo sapeva, ma era una tradizione. Certi spettacoli oltrepassano l’immaginazione anche del più ottuso dei sadici. L’uomo sembra confondere la sua capacità di fare del male con la superiorità di cui mena vanto, mentre maestri spirituali di ogni epoca e religione ci hanno sempre insegnato che la vera forza sta nella capacità di amare, avere compassione e quindi proteggere tutti gli esseri viventi, soprattutto i più indifesi e innocenti.

Ma torniamo ai nostri allevamenti e alle trovate geniali delle civiltà che si autoproclamano avanzate. A noi paesi occidentali fa molto comodo questo stato di cose, e siamo ben contenti di mantenerlo. Ad esempio ho scoperto, fra le altre mirabolanti trovate della tecnologia, che esistono varietà di grano, inventate in laboratorio grazie alla manipolazione genetica, che producono semi sterili, cioè che non possono essere utilizzati per nuovi raccolti. Vendendo questo grano ai paesi del Terzo Mondo, le multinazionali li costringono ogni anno a comprare da loro i semi. È una forma di schiavitù e di oppressione molto raffinata, ma non diversa da quella che tutti conoscono bene. Di questo tipo di moderno colonialismo si potrebbero fare tanti altri esempi. Il mostro che sta dietro a tutto questo ha sempre lo stesso nome. Potere. E in un mondo folle il potere deriva dal denaro. E l’ignoranza ne è il fedele servitore.

Siamo in una situazione di schizofrenia morale, creata ad hoc per rendere docile l’animale uomo ed addomesticarlo al consumo (è la stessa tecnica adottata per addestrare i delfini a fare le loro acrobazie), che ci rende schiavi nell’insicurezza e nella paura, legati alla consuetudine e al pensare comune, sottomessi ai comandamenti del consumismo sfrenato, il cui unico beneficio è di apportare i soliti pezzetti di carta colorata nelle tasche di pochissime persone. Questi pezzetti di carta hanno lo scopo fondamentale di mantenere in vita il sistema consumistico e di controllo delle masse, costrette a correre in eterno per procurarsi i foglietti e pagare gli agi che la società offre. Ma il prezzo che tutti pagano è ben alto.

 Nessuno è veramente libero di scegliere, anche se gli viene detto che è così. Tutto sta nel creare l’illusione della libertà.

L’occultamento dei reali processi di produzione, dello svilimento, del degrado e della sofferenza inaccettabile a cui sono sottoposti gli animali, è come un grido che si perde negli spazi di periferie desolate, in cui sono confinati macelli e simili ambienti di morte, lontani dalla portata di sguardi indiscreti. La verità non può essere messa in mostra. Le ripercussioni economiche sarebbero devastanti. Meglio coltivare l’illusione che ‘va bene così’. ‘Sono solo animali’. ‘Ci sono cose più importanti…’ Fino allo svilente ‘Gli animali servono a questo, no?’. Veniamo educati con questa idea, e così ormai non abbiamo più dubbi in proposito. Un altro meccanismo per mettere a tacere le menti, infatti, è quello dell’assuefazione: le cose sembrano diventare normali quando vi siamo sottoposti ripetutamente. Le scene di violenza che vediamo in TV non ci fanno più effetto. La vista di una mucca squartata non ci inorridisce più di tanto. O comunque la indirizziamo subito al nostro subconscio cambiando canale. La nostra sensibilità non sopporta tutta questa sofferenza, ma i banconi grondanti sangue del reparto macelleria ci sembrano una cosa normale. E questa assuefazione si nasconde dietro parole innocenti e innocue come “tradizione” o “consuetudine”, usate per far passare per giusta ogni genere di aberrazione mentale. A tal punto siamo arrivati che anche la tortura e la pena di morte arrivano a sembrare ovvie a molti. Dolorose, certo, ma giuste (in fondo, è la legge che le approva. Ma chi ha fatto quella legge?). Probabilmente, visto che l’uomo fa di tutto per ammalarsi, soprattutto grazie a uno stile di vita alienato, c’è da chiedersi se non consideri una tradizione anche prendersi un cancro o procurarsi un infarto.

E così l’abitudine, la scelta socialmente più accettabile, diventa la nostra regola di vita. ‘Così fan tutti’. E distogliamo lo sguardo da ciò che potrebbe invece aprirci gli occhi.

 A volte si apre uno spiraglio in questa trincea di omertà condivisa. Si vede passare un camion: “Trasporto Animali Vivi”. Questi camion, che accompagnano nell’ultimo viaggio poveri animali assetati, indifesi e increduli, sballottati come fossero già pezzi di carne senza un’anima, tutti col loro timbro sulla schiena; considerati senza sentimenti, già dalla nascita destinati ad essere divisi in pezzi più o meno pregiati (nei libri di scuola elementare, dove si parla di alimentazione, il dise-gno della mucca è diviso in tagli!), esposti al freddo o al caldo soffocante, tanto che molti arrivano già mezzi morti a destina-zione; questi camion, dicevamo, non possono non ricordarci i vagoni stipati di animali umani pronti a partire verso i lager nazisti, coi numeri tatuati sul braccio, o lo sguardo desolato dei bambini che stanno morendo di fame. Gli occhi spalancati, pieni di terrore e con un’unica e sempre irrisolta domanda: “Perché?” Chi sa rispondere a questa domanda?

Io ho visto quello stesso sguardo, tanti anni fa, in un depliant sulla vivisezione: una scimmietta, con vari elettrodi im-piantati nel cervello, sottoposta a “prove scientifiche” degne del peggior torturatore di streghe di inquisitoria memoria. (Accanto a questa foto c’era quella di una scimmia con gli occhi cuciti, ma non mi era difficile immaginarne lo sguardo terrorizzato perso nel buio.) Quegli occhi non mi lasceranno mai più. Si sono conficcati nel mio cuore, anche se cerco di non pensarci, perché il dolore è sempre troppo grande, lo stesso che provo quando vedo animali scuoiati vivi, sgozzati e amputati delle loro “belle membra” quando ancora i loro cuori palpitano. Lo stesso di quando i documentari ci ripropongono le infami gesta del periodo nazista, o l’andatura incerta e senza speranza di centinaia di bambini dalle pance gonfie destinati alla morte precoce già al momento del loro concepimento, mentre noi spendiamo miliardi per diete dimagranti e operazioni estetiche per ovviare ai danni della troppa alimentazione. O quando vedo immagini di bambini che lavorano in miniera o che vengono sfruttati dalle industrie occidentali per avere manodopera a basso costo. Quanta sofferenza dietro le mode e i marchi famosi, tanto cari ai benestanti occidentali! O quando i libri di storia narrano le nefandezze della conquista spagnola delle Americhe, o le atrocità commesse anche da noi italiani durante la conquista delle terre africane nel periodo del colonialismo. O quando i cacciatori spaventano creature indifese e le feriscono a morte, braccandole per puro divertimento. “Noi non abbiamo due cuori – uno per gli animali, l’altro per gli umani. Nella crudeltà verso gli uni e gli altri, l’unica differenza è la vittima” (Alphonse de Lamartine). La sofferenza che mi coglie è sempre la stessa. Sofferenza per una crudeltà insensata, per l’impotenza, per l’ignoranza che accompagna sempre ogni forma di violenza e sopraffazione. Ogni volta mi sento sconfitto. Scoraggiato. E chi mangia carne e pesce e consuma prodotti di origine animale accetta e convalida tutto questo. Ha sulla coscienza tutto questo. Ne è il mandante silenzioso e consenziente, anche se ipocritamente nascosto dietro le maschere della necessità o, ancor peggio, della sopravvivenza del più forte. Così come chi usa prodotti testati (quasi tutti) su animali innocenti accetta la vivisezione e la morte sotto tortura di miliardi di creature indifese. I piccoli cuccioli che, quando fa comodo, vengono presentati, anche nella pubblicità, come i più dolci compagni dei nostri bimbi, vengono bellamente massacrati a centinaia per portare avanti inutili studi di eminenti dottori o semplicemente per scrivere una tesi destinata al dimenticatoio. E per fare questo vengono di solito adoperate le razze più mansuete (ad esempio i cani Beagle), quelle che danno meno problemi perché si fidano ciecamente dell’uomo. Ad essi vengono tagliate le corde vocali, iniettati o fatti inalare veleni, tagliate parti di cervello, impiantati elettrodi, date scosse elettriche, bruciata la pelle, scarnificate le membra, liquefatti gli occhi, cucite le palpebre, legati gli arti, strappati i visceri… e via dicendo con amenità simili. Tutto senza anestesia. Il risultato, forse, sarà una nuova crema per lisciare la brutta faccia di qualche anziana signora che, avendo mangiato schifezze tutta la vita, decide di darsi un nuovo look e di finire sottoterra con la pelle fresca e levigata. Oppure sarà qualche farmaco che andrà ad avvelenare ulteriormente il nostro organismo, che grazie al suo uso si ammalerà e avrà bisogno di ulteriori farmaci sperimentati con lo stesso orribile sistema. Per il resto, la vita delle cavie da laboratorio consiste nell’aspettare e poi affidarsi al “camice bianco” di turno che le condurrà alla prossima tortura e infine alla morte (leggi: liberazione). Aspettano, chiuse in gabbie appena sufficienti per stare in piedi. Ed anche loro si faranno certamente la stessa domanda. Perché?

 Ricordo quando lavoravo presso la segreteria del Dipartimento di Agraria dell’Università di Firenze. Caso volle che la mia postazione fosse vicina a certe stalle in cui venivano allevati agnelli a scopo di studio. Un ragazzo stava facendo una tesi su un tipo di mangime. Decine di agnelli venivano nutriti per tre mesi con una particolare mistura, dopodiché venivano trasformati in poltiglia per vedere la composizione delle loro carni. Entravano, vivi e belanti, appena affacciati alla vita, vedendo forse per la prima volta la luce del sole, in uno stanzone pieno di macchinari strani e, pochi minuti dopo, assieme a secchi pieni di sangue, ne uscivano sotto forma di una sostanza melmosa rossa e informe, igienicamente sigillata in sacchetti etichettati.

Erano gli agnelli, proprio quelli che pochi minuti prima accarezzavo!? Come era possibile una tale perversione? Di fronte al mio occhio interrogativo e al mio sguardo atterrito per tale insensata carneficina, la giustificazione del grande studioso e professore emerito che seguiva la tesi del ragazzo, fu che per lui quegli animali erano solo numeri. Nient’altro seppe dirmi. Con questo pensiero il suo senso morale ne usciva evidentemente sollevato. Per me invece fu il colpo finale.

Però la scienza aveva trionfato! Un grande passo avanti per l’umanità era stato compiuto. Si era scoperto che il tipo di cibo che ingeriamo entra a far parte della composizione del nostro corpo! Eureka! Chissà se è per questo motivo che l’uomo è tanto violento. Mangia violenza ogni giorno. “Siamo quello che mangiamo”. Forse. Ma la cosa più incredibile, di cui solo a posteriori mi rendo conto, è che pur considerandomi un amante degli animali e sentendomi profondamente addolorato per le crudeltà che l’uomo riesce ad infliggere loro, non mi facevo problemi a consumare carne e pesce. Proprio io che, quando ero piccolo e mio padre investì per sbaglio un fagiano, piansi tutto il giorno e mi rifiutai di mangiarlo (mia nonna infatti la pensava diversamente e non si fece scrupoli nel trasformare quell’inattesa sorpresa in arrosto con patate). Anche io ero sotto ipnosi, schizofrenico. Non collegavo le cose. Mi mancava la Visione. Quella arrivò molto più tardi, grazie ad una donna coi vestiti colorati e il sorriso luminoso, che mi fece notare che non è proprio delicato divorare l’oggetto del nostro amore (a meno che non sia consenziente!). Questo ragionamento, come tutte le cose vere, era semplice e non faceva una grinza.

Per fortuna il mio lavoro presso quel magnifico luogo di conoscenza finì presto. Ma tutto questo, purtroppo, è prassi comune e consolidata. Anche se ogni cosa avviene nel silenzio asettico di laboratori spaventosi, nascosti a tutti, è nondimeno quello che accade ogni giorno di ogni mese di ogni anno. D’altronde, non dobbiamo dimenticare che la Chiesa stessa, che dovrebbe essere portatrice di valori morali quali amore e pietà, non alza un dito contro la strage di milioni di agnelli che avviene ogni anno in onore del nostro Salvatore! Non è un bell’esempio di cristiana compassione? Tanto meno si pronuncia a proposito della crudeltà che ogni giorno si perpetua verso i più deboli e docili esseri della terra. Anzi, è difficile trovare un prete anche solo vegetariano. Mentre è molto facile vedere corpulenti monsignori (e frati francescani!) parlare di nobili verità davanti a tavole imbandite con piatti a base di cadaveri.

Ma è la tradizione no? Quinto: non uccidere. Mah!

 

Non si pensi che io sia contro la tecnologia e la scienza. Anzi le amo moltissimo e le seguo. Mi rendo solamente conto che stiamo sacrificando il nostro buon senso ad un facile ma spesso solo apparente progresso. E non si creda che io, come i molti vegetariani, abbia sfiducia nella bontà dell’animo umano. Se così fosse non si spiegherebbero né questo libro né le numerose campagne di protesta che vengono portate avanti con tanta passione e che hanno proprio lo scopo di stimolare quella parte sensibile che ogni uomo possiede.

Mi ha dato grande conforto, forse anche speranza, scoprire che molte altre persone la pensano in un altro modo, hanno un sentire diverso, oggi come nel passato. Anche persone universalmente considerate importanti, illuminate, sagge: scienziati, filosofi, poeti, capi religiosi che hanno cambiato, fin dall’antichità, il corso della storia con le loro idee. Che hanno avuto il coraggio di portare avanti la loro verità: Pitagora, Leonardo da Vinci, Einstein, Buddha, Voltaire, Gandhi e molti altri. Perciò voglio a mia volta condividere con altre persone questa raccolta di aforismi, che spero serva anche a risvegliare la coscienza sopita di chi non vuole barattare la propria intelligenza per qualche foglietto colorato depositato in banca; foglietto che dovrebbe rappresentare, nella nostra mentalità alienata, la sicurezza per il futuro.

La sola sicurezza è sapere come vanno veramente le cose e cercare di cambiarle in favore di uno sviluppo che tenga conto dei diritti di tutti e che riscopra la vera saggezza, quella tramandata da mistici e poeti di ogni religione o razza o, più semplicemente e più direttamente, dagli altri animali nostri fratelli. La nostra protesta contro questo stato di cose comincia dal modo in cui mangiamo. Proprio così. La nostra arma è la forchetta. Non abbiamo bisogno di ordigni nucleari. Di clave. Di spade o pistole. È tutto molto più semplice. Non importa gridare contro il mondo, la vita ecc. Il nostro potere di contribuire ad un futuro migliore si nasconde proprio nelle nostre mani, nelle scelte che facciamo ogni giorno. Nella nostra lista della spesa. Nella scelta di porre fine ad una disastrosa dieta basata sulla morte e la tortura di miliardi di esseri senzienti come noi. Nella scelta di non acquistare prodotti sperimentati su animali o che contribuiscono allo sfruttamento di bambini o di persone ridotte in schiavitù dalla mentalità capitalistica. Nella scelta di non chiudere gli occhi di fronte agli orrori e alle stragi che con indifferenza provochiamo ogni giorno. Non basta inorridire di fronte alle violenze e allo sfruttamento cui sottoponiamo i nostri fratelli. Il pensiero, anche il più elevato, è poca cosa se non diventa azione. E l’azione che ci interessa quotidianamente è proprio quella di mangiare. Noi possiamo scegliere. Forse una tigre non può scegliere. Ma noi sì. Forse una tigre caccerà sempre l’antilope. Ma noi possiamo farne a meno. L’unica caccia che dobbiamo propugnare è quella alla nostra ignoranza.

Il nostro potere prende vita quando ci accorgiamo che tutta la terra, Gaia, coi suoi corsi di acqua meravigliosi, le sue sorgenti ricche di vita, le vaste pianure e le foreste feconde di voli, di salti, di spazi, è casa nostra, e che ciò che facciamo al più piccolo essere lo facciamo a noi stessi.

Il cambiamento ha inizio quando guardiamo una goccia d’acqua e diciamo: questo è un miracolo. E sappiamo che è così.

 

David Ciolli

 



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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