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Il presente volume è dedicato a quella che probabilmente è l’icona più celebre e influente dell’immaginario culturale contemporaneo, oltre che del cinema degli ultimi decenni. Quentin Tarantino infatti, attraverso una manciata di film, è riuscito da un lato a riflettere al meglio le tendenze caratteristiche della postmodernità, dall’altro però la sua grandezza sta nel fatto di essere riuscito a rinnovare il suo stile e la sua poetica in base alle esigenze che la nuova società ha imposto a partire da eventi di impatto gigantesco che hanno stravolto norme e convenzioni dei passati decenni. Tarantino ha infatti attraversato col suo cinema l’instaurarsi di una nuova cultura popolare basata sul consumo massificato e sulla spettacolarizzazione, ma anche l’affermazione dei nuovi strumenti di comunicazione (la diffusione della cultura del web e della serialità narrativa), per non parlare di come il suo cinema si sia rapportato agli attacchi dell’11 settembre e alla crisi economica del 2007. Questo per sottolineare come l’opera del regista non si limiti esclusivamente a riflettere e a restituire un orizzonte già consolidato, ma sia diventata una potente macchina dell’immaginario in grado essa stessa di direzionare e di influenzare la cultura. Un potere perciò riflessivo, ma anche fondativo del mondo che ci troviamo a vivere oggi, immersi in un flusso ininterrotto di messaggi e di stimolazioni audiovisive.
Per arrivare a ricoprire questo ruolo, Tarantino ha dovuto in più occasioni mettere in discussione se stesso, tanto da passare dall’essere uno dei cavalieri più significativi del postmodernismo al recupero di una sensibilità tipicamente moderna: se infatti la pratica “citazionistica” della sua estetica simulacrale simulacrale perché, come vedremo, tautologica nell’invenzione di un universo che si alimenta di cinema e all’interno dei confini del cinema si sviluppa resta una firma distintiva dell’autore, è anche vero però che la seconda fase della sua produzione testimonia un’esigenza (dettata dalle condizioni socio-politiche attuali) di passare dal simulacro alla Storia, ovvero dal divertissment autoappagante capace di soddisfare le esigenze libidiche dello spettatore, al contenuto di matrice morale e critica. Questo è un passaggio complesso dal momento che non si tratta di fasi contrapposte, ma di un confluire della prima (la dimensione simulacrale) nella seconda (il riferimento alla Storia), offrendo una visione della Storia “simulacrale” in quanto anch’essa da subita intessuta e impregnata dalla finzione cinematografica. Riflettere sul cinema di Tarantino da una prospettiva filosofica significa fare emergere problematiche e tendenze della cultura visuale degli ultimi decenni; la bibliografia critica sul regista di Knoxville infatti, a livello internazionale, è particolarmente nutrita, ma l’esercizio filosofico rappresentato dal presente libro non intende esaurire in maniera compiuta tutte le implicazioni della sua produzione filmica, quanto rileggere e analizzare tale produzione considerandola alla base di una tesi o idea: si tratta dell’esigenza da parte del cinema di infrangere la chiusura autoreferenziale che aveva caratterizzato il postmodernismo, senza però scadere nel didascalismo che, ad oggi, sarebbe completamente inutile e inefficace. Partendo da considerazioni di ordine generale sul significato che categorie basilari quali quelle della violenza esibita e della temporalità frantumata, e attraverso una comprensione del cinema “di genere” degli ultimi anni (così importante per la definizione dello stile tarantiniano), il saggio evidenzia come lo scarto e la svolta sia avvenuta nel 2009, ovvero dopo Kill Bill e Death Proof, rappresentanti ideali del cinema simulacrale già avviato nei film precedenti. Con Inglorious Basterds e Django Unchained, Tarantino “complica” il suo cinema, senza rinnegare il passato: la Storia che irrompe nel suo immaginario passa attraverso quell’estetica del simulacro da lui stesso rappresentata, fondata e potenziata all’estremo. Questo approccio mette in evidenza come il rapporto tra simulacro e Storia, tra godimento e morale, implichi da subito anche il problema, centrale nell’estetica moderna e contemporanea, del rapporto tra arte e vita, tra immagine e realtà. Questo volume perciò intende non tanto offrire un ulteriore contributo critico nell’ambito degli studi su Tarantino, quanto proporre degli spunti di riflessione filosofica a partire dall’opera del regista americano, adottando quest’ultima come un trampolino di lancio verso una comprensione di più ampio respiro della nostra contemporaneità.
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