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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 302

Fabio Acerbi

Concetto e uso dei modelli nella scienza greca antica.

ISBN 978-88-7588-214-3, 2018, pp. 92, formato 140x210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [90].

In copertina:Particolare di un manoscritto del X Secolo; pagina dell’opera di Aristarco di Samo Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna..

indice - presentazione - autore - sintesi

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Concetto ed uso dei modelli hanno avuto un ruolo centrale nell’indagine scientifica dell’ultimo secolo, non solo nelle scienze esatte e nelle loro applicazioni immediate, ma anche nei campi medico-biologico e delle discipline economiche o sociali. Se l’àmbito di ricerca in cui viene praticato l’approccio modellistico varia in maniera non indifferente, resta però immutata la sua caratteristica essenziale, il costruire cioè all’interno dell’universo matematico immagini semplificate di classi di eventi appartenenti all’universo fenomenico. C’è di più: accade spesso che a tale scopo specifiche discipline utilizzino in maniera peculiare strumenti matematici ben determinati, e questo fatto ha spesso contribuito in maniera decisiva a definire con maggiore nettezza i confini e quindi lo scopo delle discipline in gioco, a volte arrivando a dotarle di un’aura di scientificità che per altri versi risultava e risulta quantomeno discutibile accordare loro. È però vero, d’altronde, che aspetto eminente della modellistica matematica contemporanea è proprio quello di non rappresentare in maniera biunivoca l’effettiva divisione degli àmbiti di ricerca, nel senso che fenomeni del tutto eterogenei possono essere rappresentati, ad esempio, dalla stessa equazione differenziale, mentre certi approcci matematici generali trovano applicazioni omologhe in campi disparati. Già queste prime osservazioni suggeriscono che il rapporto tra modelli matematici, fenomeni che essi rappresentano e discipline che se ne servono possa presentarsi alquanto complicato, e come la componente matematica formale possa determinare in misura spesso decisiva la struttura dei modelli stessi.

È stato messo in evidenza come lo sviluppo notevole della modellistica matematica nell’ultimo secolo possa essere ricondotto alla crisi del paradigma meccanicista.[1] S’intende che anche all’interno di quest’ultimo risultava possibile costruire ed effettivamente venivano costruiti modelli dei fenomeni indagati, ma in essi l’introduzione del formalismo matematico era quasi sempre subordinata alla riduzione preliminare del fenomeno ad entità ed interazioni “reali”: Lord Kelvin propone un modello meccanico (una sorta di reticolo di piccole masse in rotazione, connesse da giunti flessibili ma non estensibili) della struttura dell’etere, e le teorie matematiche dell’elasticità e della propagazione delle onde entrano in gioco come conseguenza di questa scelta; Boltzmann introduce metodi statistici allo scopo di giustificare il secondo principio della termodinamica in termini del moto delle molecole. La modellistica matematica contemporanea si caratterizza invece per il fatto di fare a meno della mediazione di una struttura esplicativa soggiacente (appunto come conseguenza della crisi suddetta), che quest’ultima appartenga allo stesso campo di indagine del fenomeno oppure ad un campo ritenuto più fondamentale (di solito la fisica) non fa differenza: le variabili matematiche rilevanti all’interno del modello risultano quindi la traduzione di alcuni parametri fenomenologici caratterizzanti il sistema fisico ed il modello stesso vive di vita propria all’interno dell’universo matematico: un sistema di equazioni differenziali è già di per sé un modello. Ciò comporta un rischio: leggere, senza prima aver percorso all’indietro con cautela il processo di traduzione sopra accennato, le proposizioni interne al modello come asserti su come è fatto il mondo reale. Subentrati a quello meccanicista dei quadri esplicativi al tempo stesso più rigidi, limitati nel campo di applicazione e tra loro in conflitto (la meccanica quantistica, la teoria relativistica dei campi, la teoria della relatività generale), la loro interazione con una modellistica siffatta può produrre corto circuiti ancora più gravi: si assiste in effetti negli ultimi decenni ad un generalizzato fenomeno di reificazione delle entità teoriche interne ai modelli, la loro esistenza effettiva risultando automaticamente assunta una volta che esse siano necessarie perché questi ultimi funzionino (e si badi bene, funzionare significa ormai soltanto produrre previsioni in grado di accordarsi con i dati sperimentali, mentre sono state abbandonate richieste anche elementari di coerenza interna e di consistenza del formalismo matematico utilizzato, non parliamo del fatto che il modello fornisca una “spiegazione” del fenomeno): ne consegue una rigogliosa fioritura, ai limiti dell’inestricabile, del parco ontologico, e non è assolutamente detto che tale prezzo da pagare sia ragionevole oppure anche solo accettabile. Alla luce delle incertezze contemporanee è importante cercare di capire le origini storiche del concetto di modello, analizzando in particolare se e come fossero già presenti in origine tali gravi confusioni tra quest’ultimo ed il fenomeno che era inteso modellizzare. Il presente contributo intende fornire i risultati di una prima ricognizione nel campo della scienza greca antica.

Giusto per fissare un sistema di riferimento in cui sviluppare la nostra indagine, stabiliamo alcune caratteristiche che delimitino in prima approssimazione il concetto di modello cui intendiamo riferirci, caratteristiche che troviamo incarnate ragionevolmente bene nelle manifestazioni più consapevoli della modellistica del secolo ventesimo:

1) Focalizzazione su alcuni aspetti del fenomeno in esame, con sfrondamento di quelli considerati inessenziali (quali che siano i criteri di demarcazione dell’essenziale dall’inessenziale). Questo processo di sottrazione trasforma automaticamente gli enti coinvolti nel fenomeno e le affermazioni su di esso in enti ed affermazioni teoriche. La terminologia ne risente, in quanto vengono introdotti nuovi termini per i nuovi enti – ad esempio prendendoli a prestito dal lessico matematico – ovverosia, aspetto più importante, una parte del lessico pertinente al fenomeno assume un nuovo significato, beninteso interno al modello e quindi teorico, come conseguenza del processo di sottrazione. Si creano dunque delle regole di corrispondenza in base alle quali ritradurre le asserzioni teoriche in affermazioni concernenti il fenomeno.

2) Applicazione costante del metodo ipotetico-deduttivo ed uso più o meno estensivo della matematica. Le ipotesi poste possono anche essere palesemente false (di solito in quanto risultato del processo di sottrazione rubricato sotto il punto 1).

Non si richiede che il fenomeno in esame debba essere ricondotto e “spiegato” in termini di una teoria (fisica) soggiacente considerata più elementare; in particolare, non è ritenuto necessario né, eventualmente, opportuno introdurre enti (teorici o reali) più fondamentali: l’indagine può restare al livello delle variabili fenomenologiche.

Occorre preliminarmente stabilire anche dei limiti temporali alla nostra indagine: ci muoveremo tra i termini di Aristotele e di Tolomeo (inizio II secolo d.C.), con una dovuta ma brevissima incursione in direzione dei pitagorici; la nostra attenzione sarà in ogni caso principalmente concentrata sul periodo ellenistico (per questo motivo sarà utilizzata la denominazione non canonica di “arcaico” per designare il periodo che precede Aristotele: dal punto di vista dello storico della scienza antica lo è a tutti gli effetti). La scelta del limite superiore è dettata dalla constatazione che, a parte sporadiche eccezioni, in tempi posteriori l’impresa scientifica si era ridotta ad una pura parvenza nelle mani di commentatori volenterosi ma di scarso momento intellettuale.





Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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