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Cat.n. 384

Senofonte

Apologia di Socrate. Introduzione, traduzione e note di Francesca Pentassuglio.

ISBN 978–88–7588-281-5, 2021, pp. 176, formato 140x210 mm, Euro 15 – Collana “Il giogo” [134].

In copertina: Busto di Socrate, conservato al British Museum di Londra. In quarta: Busto di Senofonte in marmo bianco conservato alla Bibliotheca Alexandrina.

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15,00

Accusa di Socrate

Il processo e la testimonianza senofontea

«Di Socrate mi pare poi degno di ricordo anche il modo in cui» – scrive Senofonte in apertura della sua Apologia (1) – «prese le decisioni che riguardavano la sua difesa e la fine della sua vita».

L’attenzione degli studiosi moderni1 per le vicende del processo e della morte di Socrate, avvertiti come gli eventi cruciali della vita del filosofo ma anche delle successive immagini che ne sono state trasmesse, è un’eredità degli antichi. Senofonte stesso inizia e conclude i suoi Memorabili (I 1; IV 8) evocando la condanna a morte pronunciata dai giudici al termine del processo, di cui tramanda i capi d’accusa: «Socrate è colpevole di non riconoscere gli dèi riconosciuti dallo Stato e di introdurre altre, nuove divinità; è colpevole anche di corrompere i giovani» (I 1, 1)2.

Il testo dell’accusa, riportato anche nell’Apologia (10), coincide con quello riferito da Favorino di Arelate (e trasmesso da Diogene Laerzio: II 40), che lo avrebbe consultato direttamente nel Metroon di Atene, sede degli archivi ufficiali della città3. Le testimonianze confermano dunque che le imputazioni per cui Socrate, settantenne4, venne processato nel 399 a.C. dalla restaurata democrazia ateniese5 erano formalmente due: empietà e corruzione dei giovani. Entrambe erano già prefigurate nella rappresentazione aristofanea delle Nuvole6, che costituisce il documento più antico sulle critiche che circondavano la figura di Socrate e che avrebbe profondamente influenzato, stando alla ricostruzione dell’Apologia platonica (18a-e), l’opinione pubblica ateniese.

Per difendere Socrate da tali accuse, tanto a lungo radicate nei giudizi degli Ateniesi – nonché da quelle successivamente formulate nella Κατηγορία Σωκράτους di Policrate7 – nacque una vasta letteratura apologetica, di cui molto è andato perduto. La tradizione attesta infatti diverse Apologie di Socrate, di cui alcune coeve: abbiamo notizia di un’Apologia composta da Critone (Suid. s.v. Κρίτων Ἀθεναῖος) e di uno scritto di Lisia (frr. 271-272 Carey), a cui seguirono le opere più tarde di Teodette (Arist. Rhet. II 1399a9), Demetrio Falereo (frr. 91-98 Wehrli: cfr. Diog. Laert. V 81), Zenone di Sidone (Suid. s.v. Ζήνων Μουσαίου), Teone di Antiochia (Suid. s.v. Θέων Ἀντιοχείας) e, stando al Catalogo di Lampria (Πίναξ ὧν ὁ Πλούταρχος ἔγραψε, 189), Plutarco, fino alla Apologia Socratis di Libanio (IV sec.)8.

Di tale vasta produzione, le Apologie di Platone e Senofonte rappresentano non solo le testimonianze più antiche, ma anche le sole fonti coeve a noi pervenute. Prima e al di là dei divergenti giudizi sul valore storico dell’Apologia senofontea, va dunque ricordato che essa rappresenta, insieme ad alcuni passi dei Memorabili, la sola altra testimonianza contemporanea sui discorsi che Socrate tenne in sua difesa nel corso del processo.

Proprio su questa base alcuni interpreti hanno difeso il valore dello scritto senofonteo9, fino alla tesi estrema (difficilmente sostenibile) che esso rappresenti la fonte più originaria e veritiera sul processo di Socrate10. Ben più nutrita, tuttavia, è la schiera di quanti hanno espresso giudizi radicalmente negativi, ritenendo nullo il valore storico dell’Apologia11; negandone qualsiasi attendibilità a favore dello scritto platonico12, rispetto a cui la frammentaria13 opera senofontea mostrerebbe una generale tendenza alla semplificazione14; arrivando a definirla «a rather pathetic little work»15.

Simili giudizi non sono disgiunti, naturalmente, dalla cosiddetta “questione socratica”16, riflettendo spesso le oscillanti valutazioni di cui è stata oggetto la testimonianza senofontea. Non è questa la sede per ripercorrerle nei dettagli17; basti qui osservare che la sostanziale riabilitazione degli scritti socratici di Senofonte, avviata negli anni Novanta dello scorso secolo, può in larga parte considerarsi acquisita dalla contemporanea storiografia filosofica18.

Se dunque non è forse più necessario insistere sull’opportunità di “riabilitare” gli scritti socratici di Senofonte, e con essi l’Apologia, non è superfluo esplicitare alcune notazioni metodologiche. La rivalutazione della testimonianza senofontea, soprattutto nel quadro della cosiddetta “esegesi comparativa”, è stata infatti spesso accompagnata da posizioni di radicale scetticismo rispetto alla questione socratica, considerata un problema insolubile e, in quanto tale, mal posto. A renderlo un “falso problema” sarebbe da un lato la natura fittizia dei λόγοι Σωκρατικοί19, il cui scopo non era restituire rappresentazioni storicamente fededegne della figura di Socrate; dall’altro l’irriducibilità delle differenze tra il Socrate platonico e il Socrate senofonteo, inconciliabili anche laddove i testi mostrano delle tangenze di superficie20.

Ora, l’esegesi comparativa ha l’indubbio merito di aver rimosso i principali ostacoli affinché non solo gli scritti socratici di Senofonte, ma anche i dialoghi degli altri Socratici “di prima generazione” fossero recuperati negli studi sul socratismo. Reagendo contro un’impostazione storiografica che considerava il Socrate platonico l’unico degno di interesse, essa ha inoltre consentito un approfondimento inedito delle singole fonti. Se tuttavia da un lato si può fare tesoro dei risultati di tali indagini specifiche sulla “galassia” socratica, la mera registrazione o giustapposizione dei caratteri che Socrate presenta in ciascuna fonte è, forse, un obiettivo solo parziale per studi che mirino a indagare la filosofia di Socrate e non solo le sue rappresentazioni letterarie.

Un ripensamento della questione socratica, che consenta di restituire credito a tutte le “voci” di coloro che si sono contesi l’eredità di Socrate, non implica infatti la rinuncia a qualsiasi tentativo di comporle, e di rinvenire così, tra i vari ritratti pervenuti, elementi comuni che possano essere ricondotti con buone ragioni al genuino insegnamento socratico.

A questo proposito sembra da cogliere l’invito metodologico già formulato da Calogero, che nel saggio Socrate21 propone di assumere come provvisorio punto di partenza lo scetticismo di Gigon (1947), riconoscendo anzitutto che «nessuno dei testimoni del pensiero di Socrate può essere isolato come testimone autentico». Di fronte all’«infinito mareggiare di preferenze per l’una o per l’altra testimonianza», l’opzione metodologicamente più prudente pare infatti quella di «ricominciare daccapo», e quindi studiare pazientemente, uno per uno, i «modi» in cui Socrate è stato rappresentato da ciascun autore. Perché non approdi al pessimismo di Gigon, tale studio deve essere tuttavia guidato dalla convinzione che sia possibile accedere ad alcuni tratti essenziali della fisionomia di Socrate, in modo che «alla fine, non ci rimanga in mano soltanto una silloge di creazioni drammatiche, ma anche un insieme di elementi per una ricostruzione storiografica». Ciò, naturalmente, senza appianare forzatamente quelle divergenze tra diverse interpretazioni della filosofia socratica che rappresentano, in un certo senso, la ragione stessa della loro esistenza e pluralità.

È con questa lente metodologica che sarà letta la testimonianza senofontea dell’Apologia, in cui certo non è da ricercare un resoconto letterale dei discorsi effettivamente pronunciati da Socrate in tribunale. Al di là del limite “biografico” rappresentato dall’assenza da Atene nel 399 a.C.22, è Senofonte stesso a chiarire infatti espressamente – risolvendo in realtà gran parte del dibattito sul tema – che non è stato suo intento «riferire l’intera vicenda del processo», essendosi accontentato di mostrare che Socrate si era curato sopra ogni cosa di «non essere empio nei confronti degli dèi e non risultare ingiusto nei confronti degli uomini» (22). E di questo Socrate di esemplare devozione e giustizia, esibite in sommo grado al momento di presentare in tribunale la difesa che era andato preparando nel corso della sua intera vita (3), Senofonte offre una testimonianza a cui vale la pena tornare. [… continua a leggere nel libro …]

1 Già Antonio Labriola apriva il suo studio del 1869 su La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele con la trattazione della morte e del processo (sul Socrate di Labriola si veda Spinelli 2006 e 2008; cfr. Sassi 2015, pp. 140-141). Per alcuni contributi rilevanti, tra i moltissimi dedicati al tema, si veda Brickhouse-Smith (1989 e 2002); Hansen (1995); Mossé (1996); Brisson (2001); Millet (2005); Nails (2006); Waterfield (2009); Ober (2016). Una recente ricostruzione è inoltre offerta da Bonazzi (2018).

2 Lo stesso testo d’accusa è trasmesso, con lievi variazioni, anche da Platone nell’Apologia (24b-c); si veda in merito Valgimigli-Ioppolo (2000, pp. xv-xvi) e la nota di commento al testo n. 32, p. 96. Per un confronto tra le tre versioni dell’accusa trasmesse da Platone, Senofonte e Diogene Laerzio si veda Kato (1991, pp. 357-360).

3 Favorino introduce il testo dell’accusa con la formula «Meleto, figlio di Meleto, del demo Pito, contro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo Alopece, presentò quest’accusa e la giurò», e chiosa con l’indicazione della pena («pena richiesta: la morte»), entrambe omesse in Senofonte. La differenza è stata spiegata (Chroust 1957, p. 47) supponendo che Favorino riproduca la γραφή depositata prima del processo di fronte al βασιλεύς e non, come Senofonte, la formulazione delle accuse presentata in tribunale. Sul sistema giudiziario ateniese all’epoca del processo di Socrate, e per alcuni essenziali rinvii bibliografici, si veda Bonazzi (2018, pp. 15-22) e, più in generale, Todd (2000); sul passo di Diogene Laerzio si veda Brisson (2001, n. 24, p. 76; cfr. pp. 78-81).

4 Plat. Crit. 52e.

5 Sul contesto politico che fece da sfondo al processo di Socrate, con particolare riferimento al colpo oligarchico del 404 a.C. e alla successiva restaurazione del regime democratico (403 a.C.), si veda Chevitarese-Cornelli (2008), Ober (2011), Bonazzi (2018, pp. 25-42) e, più in generale, Musti (2008, pp. 462-493).

6 Sul “naturalismo empio” di Socrate si vedano in particolare i vv. 171 s., 193 s., 201, 225, 228, 333, 365, 423-424; sul carattere corruttore dell’insegnamento di Socrate, esemplificato dalla condotta di Fidippide, si vedano almeno i vv. 1321-1451.

7 È Policrate, con ogni probabilità, l’«accusatore» a cui Senofonte replica in Mem. I 2 (così, tra gli altri, Chroust 1957, pp. 57-59 e Dorion-Bandini 2000, n. 77, pp. 79-81). Sappiamo che la Κατηγορία Σωκράτους avanzava accuse di carattere più marcatamente politico grazie alla testimonianza dell’Apologia Socratis di Libanio. Sullo scritto del retore si veda infra, pp. 57-58 e n. 152.

8 Si veda anche Maxim. Tyr. Philosoph. III 1. Il genere divenne così diffuso che, stando alla testimonianza di Proclo (In Tim. I 65, 22 ss. Diehl), erano previste vere e proprie regole per guidare la composizione di un’Apologia socratica.

9 Pangle (1999, p. 18). Hanno insistito sul rilievo dell’Apologia senofontea come fonte sul processo di Socrate anche Ollier (1961, pp. 95-96) e Montoneri (1964, p. 185).

10 Così Wetzel(1900, p. 389). Un simile giudizio era stato espresso da Bruns (1896, p. 210), che considera la testimonianza senofontea più attendibile di quella fornita dall’Apologia platonica.

11 Tra questi Wilamowitz-Moellendorff (1897, p. 105), Maier (1913, pp. 15-16) e von Fritz (1931, p. 68). Dupréel(1922, p. 340) estende il giudizio a tutti gli scritti socratici senofontei.

12 Vlastos(1991, pp. 288 ss.; 291-293). Sul problema dell’attendibilità storica dell’Apologia platonica si veda Morrison (2000) e Prior (2001).

13 Già Busse (1930, p. 222) definisce lo scritto un “mosaico”, seguito da von Fritz (1931, p. 37). Di materiale «assemblato desultoriamente a mo’ di mosaico» parlano anche Napolitano-Dorati (2011, p. 8).

14 Navia (1984, p. 50); cfr. Tejera (1984, p. 153).

15 Guthrie (1969, p. 339).

16 Da menzionare in merito sono almeno gli studi di Dupréel (1922), Gomperz (1924), Chroust (1945), Gigon (1947), De Magalhães-Vilhena (1952), Vlastos(1983) e Patzer (1987). Una «storia della storiografia socratica» da Hegel alla metà del XX secolo si trova in Rossi (1951), mentre al «problema socratico» nel XVIII ha dedicato alcune pagine fondamentali Montuori (1981, pp. 9-27). Proposte di ripensare o reinterpretare la questione socratica sono state avanzate da De Vogel(1951) e Rossetti (1983); per più recenti ricognizioni si veda Stavru (2005) e Waterfield (2013).

17 In estrema sintesi, a partire da un quasi assoluto privilegio che le riservò la storiografia socratica fino a gran parte del XIX secolo, la testimonianza senofontea conobbe una fase di crescente discredito che raggiunse l’apice attorno al 1915 e segnò tutto il XX secolo. Sulla “parabola” del Socrate senofonteo si vedano almeno i lavori di Dorion, che individua nello studio di Schleiermacher Über den Werth des Sokrates als Philosophen (1818) il punto di svolta da cui ha preso avvio la progressiva marginalizzazione delle opere senofontee (Dorion 2001, pp. 51-52; cfr. Dorion 2005b, pp. 93-94 e 2011, pp. 2-3; per un’analisi più ampia dello scritto di Schleiermacher si rinvia a Dorion 2001 = 2003, pp. 1-26). Sulla questione si veda anche Vander Waerdt (1993, n. 5, p. 3).

18 Senza menzionare i singoli contributi sul Socrate senofonteo o su specifici aspetti dottrinali, che ove opportuno saranno citati nel corso del saggio, si possono richiamare due recenti volumi collettanei su Socrate, indicativi di tale nuova tendenza in quanto l’uno composto da sezioni omogenee dedicate alle varie fonti, tra cui Senofonte (Moore-Stavru 2018, pp. 433-597), l’altro interamente dedicato a studi comparativi (Danzig-Johnson-Morrison 2018).

19 Sul carattere fittizio dei λόγοι Σωκρατικο?, riconosciuti come genere da Aristotele (Poet. I 1447a28-b13; Rhet. III 16, 1417a18-21; cfr. Athen. XV 505c), ha insistito per primo Joël (1893-1901), seguito da molti studiosi della prima metà del XX secolo come Robin (1910, p. 26), Dupréel (1922, pp. 357-360), Maier (1913, n. 1, pp. 27-29) e Luccioni (1953, pp. 111-112). Sulla questione si veda anche Momigliano (1971, p. 46), oltre alle più recenti discussioni in Vander Waerdt (1993, pp. 6-9) e Dorion (2011, pp. 6-18).

20 Tale è, notoriamente, la posizione di Dorion (2011, pp. 6-18; in partic. 6-11). Da una prospettiva analoga è interpretata la stessa Apologia senofontea da Pucci (2002), che premette al testo un’Introduzione (ivi, pp. 7-39) intitolata significativamente Xenophon’s Apology and the Socratic legend.

21 Ora in Brancacci (2019, pp. 55-75; citazioni tratte dalle pagine 57-58). Una posizione simile è sostenuta da Sassi (2015, p. ix).

22 Si veda in merito la nota di commento al testo n. 13, pp. 88-89. Senofonte aveva tra i venti e i trent’anni quando lasciò Atene, nel 401 a.C., per unirsi alla spedizione di Ciro il Giovane in Asia (An. III 1, 25).



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