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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 404

Salvatore Bravo

Capitalismo e agorafobia del linguaggio.

ISBN 978-88-7588-323-2, 2022, pp. 208, formato 140x210 mm., Euro 18 – Collana “Divergenze” [82].

In copertina: Joan Mirò, Blue II, 1961.

indice - presentazione - autore - sintesi

18,00

Introduzione

«L’uomo è questa notte, questo puro nulla, tutto racchiude nella sua semplicità – una ricchezza senza fine di innumerevoli rappresentazioni ed immagini, delle quali nessuna gli sta di fronte o che non sono in quanto presenti […] Questa notte si vede quando si fissa negli occhi un uomo».1

G.W.F. Hegel

Il silenzio della politica è il puntello del dominio: la gerarchizzazione globale è in atto. La deterritorializzazione delle comunità – come della produzione – coincide con la rifeudalizzazione del pianeta: l’1% della popolazione mondiale possiede quanto il 99% restante. L’irrazionale distribuzione della ricchezza è il sintomo della patologia che attraversa il corpo sociale. Contraddizioni siffatte non sono dovute a circostanze avverse, ma sono la manifestazione della crisi del fondamento etico e teoretico. Il dispositivo del potere può agire fatalmente, in quanto la destrutturazione dei fondamenti ha intaccato le soggettività sociali e la razionalità con cui produrre saperi critici, e discernere i bisogni autentici dai desideri indotti.

L’azione del dispositivo sembra mossa da un automatismo che non incontra effettiva resistenza. Ciò accade in quanto la crisi dei fondamenti teoretici lascia sopravvivere solo il nucleo asservito del soggetto. Con i suoi innumerevoli dispositivi (dal semplice smartphone ai database controllati dagli algoritmi imperiali dei social), presenti nelle istituzioni pubbliche come negli ambienti domestici, il dominio formula le belligeranti parole frecciate con cui confinare il pensiero. Ogni dispositivo ha al suo interno una serie di elementi eterogenei che, in rete, interagiscono. Il linguaggio è corpo che guarda, sente e tocca, per cui visibile ed invisibile, parole e silenzio, agiscono sincronicamente per restringere la visuale degli uomini asserviti fino a limitarla al consumo ed alla produzione. L’asservimento divide i popoli, frammenta e destabilizza le comunità rafforzando le forme dominio.

Il potere è ovunque, ed esercita la sua violenza con e nel linguaggio, reso suo strumento, sempre sfuggente ed incontrollabile. Per rendere visibile il dominio bisogna riportare il suo linguaggio alla trasparenza, pensando e soppesando le parole di uso comune ed i codici specialistici che creano visioni, aspirazioni e che deflagrano la realtà. L’invisibile del dispositivo abita il soggetto, lo insegue, lo plasma: il soggetto è parlato dal dominio nella forma della lingua viva. La soggettività asservita non pone fini razionali o etici, ma è mossa dai fini del dispositivo, dal suo linguaggio che determina e costringe all’azione-movimento coattivo. Il fine è imperfetto, è energheia aletes, poiché è determinato da circostanze esterne. Non vi è felicità, perché il movimento non è autotelico, ma è oggetto di forze ingovernabili. L’actus imperfectus perenne del dispositivo capitale realizza la sola infelicità perfetta, il soggetto non si appartiene e non si conosce, l’accidente lo governa, gli si chiede di adattarsi al movimento imposto senza mediazione razionale: ognuno è gli altri e nessuno è se stesso. Il regno di nessuno è l’ambizione del dispositivo.

Senza movimento autotelico non vi è che lo spettro della persona. Senza fini rispondenti alla razionalità etica e comuniaria e all'indole personale non vi è che il totalitarismo dei mezzi; l’assurdo è la nuova normalità a cui si soggiace. Il dispositivo è lotta contro la costituzione onto-metafisica dell’essere umano. Il soggetto è diminuito nella sua natura razionale, è sempre più ente tra gli enti, sempre meno soggetto pensante e libero, è anonima presenza.

Nel soggetto, ciò malgrado, vi è l’eccedenza del pensiero che lo sottrae dalla macchina-sistema con i suoi artifici, può pensare ciò che dice: la resistenza è nel decodificare il linguaggio che ci abita. L’attività bellica è all’interno dei confini di ogni Stato, poiché il sistema esige per la sua sopravvivenza che la guerra sia la sostanza di ogni relazione umana: la lotta è portata nelle case, sul lavoro, nelle strade e all’interno dei soggetti. Lotta metamorfica in quanto deve cambiare forma a seconda delle circostanze e degli attori, ma non dev’essere sospesa. Il linguaggio del capitale è guerra per la sua aggressività lessicale. Nessuna comunicazione: solo lessico muscolare, e minimo. La lotta è anche tra le lingue: la lingua inglese assimila e sostituisce le lingue nazionali. I perdenti devono imparare la lingua dei vincitori.

Tutto è guerra e competizione nel regno animale dello Spirito. Agamben descrive il dispositivo come un corpo a corpo, perché il dispositivo con la sua forza entra nelle istituzioni come nel linguaggio, con l’effetto di una guerra perenne, si è sempre in bilico tra abisso e vita, il dispositivo si nutre della vita, dei gesti e dei pensieri dei soggetti con cui interagisce:

«Ogni dispositivo implica infatti un processo di soggettivazione, senza il quale il dispositivo non può funzionare come dispositivo di governo, ma si riduce a un mero esercizio di violenza. Foucault ha così mostrato come, in una società disciplinare, i dispositivi mirino attraverso una serie di pratiche e di discorsi, di saperi e di esercizi alla creazione di corpi docili, ma liberi, che assumono la loro identità e la loro “libertà” di soggetti nel processo stesso del loro assoggettamento. Il dispositivo è, cioè, innanzitutto una macchina che produce soggettivazioni, e solo in quanto tale è anche una macchina di governo».2

Il potere nella forma del dominio è il dispositivo che circola mediante la tecnica e si decuplica con i linguaggi. Il dominio è il dispositivo nella sua pluralità di mezzi e strumenti disseminati nello spazio-tempo. Per pensare il dispositivo bisogna discostarsi dai processi di soggettivazione e assoggettamento descritti da M. Foucault per entrare in una nuova dimensione geometrica. Il capitale utilizza i suoi dispositivi per ridurre la soggettività a presenza spettrale e nel contempo amplifica l’assoggettamento, il dispositivo deve emergere per smascherare le parole che ne sono il substrato dinamico:

«Quel che definisce i dispositivi con cui abbiamo a che fare nella fase attuale del capitalismo è che essi non agiscono più tanto attraverso la produzione di un soggetto, quanto attraverso dei processi che possiamo chiamare di desoggettivazione. Un momento desoggettivante era certo implicito in ogni processo di soggettivazione e l’Io penitenziale si costituiva, lo abbiamo visto, solo attraverso la propria negazione; ma quel che avviene ora è che processi di soggettivazione e processi di desoggettivazione sembrano diventare reciprocamente indifferenti e non danno luogo alla ricomposizione di un nuovo soggetto, se non in forma larvata e, per così dire, spettrale. Nella non-verità del soggetto non ne va più in alcun modo della sua verità. Colui che si lascia catturare nel dispositivo “telefono cellulare”, qualunque sia l’intensità del desiderio che lo ha spinto, non acquista, per questo, una nuova soggettività, ma soltanto un numero attraverso cui può essere, eventualmente, controllato; lo spettatore che passa le sue serate davanti alla televisione non riceve in cambio della sua desoggettivazione che la maschera frustrante dello zappeur o l’inclusione nel calcolo di un indice di ascolto».3

Si analizzerà, dunque, il dispositivo nella forma del linguaggio. Il dominio – nella forma delle parole con cui si limita il pensiero critico e la prassi – orienta il soggetto verso il comportamento poietico. Il soggetto si autopercepisce come un’azienda, ha obiettivi produttivi, sfrutta se stesso per la piena realizzazione del successo aziendale. L’autosfruttamento è un lungo processo di autonegazione della soggettività profonda, al punto che lo sfruttamento è giudicato come la condizione naturale dell’esistenza.

Il soggetto-azienda non ha relazioni, ma transazioni: pertanto diviene ombra di se stesso.

Alla spettrale presenza del soggetto corrisponde la crisi della contemporaneità. Il capitalismo è l’attore principale del vuoto dei fondamenti, ma si autorappresenta come attore salvifico del vuoto. Per uscire dalla menzogna conosciuta bisogna riattivare il logos, in modo che la “visibilità del concetto” possa condurre verso nuovi orizzonti. Il logos dialettico rende visibile agli occhi della mente ciò che l’abbaglio della società dello spettacolo ha reso invisibile, essa àncora alla visibilità empirica per oscurare la verità. Il soggetto naviga tra oscuramenti e abbagli: solo il concetto può liberare dai processi di derealizzazione in atto.

L’agorafobia del linguaggio è il rifiuto ideologico dei linguaggi non poietici, ogni linguaggio è spazio ideale che si traduce in temporalità creatrice, è apertura verso l’ignoto, verso un nuovo inizio. Il capitalismo è dispositivo linguistico con cui annientare ogni linguaggio disorganico alla sua potenza nichilistica. Il dio delle religioni crea con il verbum la pluralità delle vite e delle comunità, il capitalismo è verbum che decrea in nome del plusvalore. Con il dominio del linguaggio unico scompaiono civiltà, comportamenti e culture; con l’avanzare del dispositivo linguistico del capitale, l’omogeneizzazione non consente il porsi del pensiero dialettico.

Senza identità linguistiche diverse ed avverse non è possibile nessuna dialettica, poiché la dialettica vive nell’incontro delle differenze. Cancellare le differenze, far cadere nell’oblio i linguaggi è l’altro volto dell’olocausto. Il dispositivo linguistico con la sua rete è una macchina che produce olocausti culturali: in tal modo ogni resistenza critica è eliminata.

La scomparsa dei linguaggi è oblio di mondi e persone, è il nulla che avanza nella forma del solo interesse privato. Le parole del dispositivo linguistico sono senza prassi, sono parole poietiche, incitano alla produzione competitiva ed al consumo, ma non indicano la trasformazione individuale e politica. Inchiodano il presente, lo eternizzano nella ripetizione. La temporalità pagana è la sostanza del linguaggio poietico, si incarna nelle soggettività per “donare” ad esse il movimento ciclico-produttivo. Le parole poietiche devono eliminare l’orizzonte autotelico comunitario nel quale si concretizza l’uscita dalla passività linguistica. Il dispositivo è diffuso allo scopo di neutralizzare l’agire solidale, deve trovare falsi catalizzatori sociali per occultare le contraddizioni e la dialettica. L’asservimento delle istituzioni culturali non è semplice passivizzazione, ma attività nella passività: le accademie devono produrre saperi che confermino la morte della verità. Popoli senza verità non possono che obbedire, malgrado le tensioni sociali con periodiche scariche di aggressività.

Senza il fondamento veritativo e linguaggio metafisico la lotta non ha le parole per uscire dai codici linguistici costituiti dal sistema, deve limitarsi a “reazioni” a corto raggio senza “azioni”. Il divorzio tra intellettuali e popolo è nella supina sussunzione degli intellettuali alla parola poietica che li ha resi interni al potere. Il silenzio degli intellettuali è la gloria del dispositivo linguistico, che ha trovato in essi alleati per la sua ipostatizzazione. Gli intellettuali usano il linguaggio scurrile-nichilistico, ammiccano al linguaggio del popolo: è il modo più immediato per ottenere il consenso e condizionare i subalterni per spingerli nella gabbia del mercato.

Il linguaggio non è più simbolo che unisce, ma strumento perverso di inclusione. Giornalisti ed accademici divengono parte della struttura di potere, la clonano, la riproducono. L’alienazione linguistica è derealizzazione organizzata, un crimine contro l’umanità su cui regna il silenzio. Il capitalismo è ancorato a se stesso, vuole il medesimo, è l’eterno “sì” al suo codice linguistico, ai suoi linguaggi specialistici, è agorafobia di nuove temporalità linguistiche. Il dispositivo linguistico agisce per controllare i saperi e le parole per ridurli ad esecutori ideologici senza alterità e dubbio.

Note

1 G.W.F. Hegel, Filosofia dello spirito jenese, Laterza, Bari 1983, pp. 70-71.

2 G. Agamben, Che cos’è un dispositivo, Nottetempo, Milano 2006, § 9.

3 Ibidem.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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