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Cat.n. 408

Diego Lanza

Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica. Prefazione di Gherardo Ugolini: L'Anassagora di Diego Lanza.

ISBN 978-88-7588-343-0, 2022, pp. 368, formato 140x210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [142].

In copertina: Thanatos e Hypnos trasportano il corpo di Sarpedonte via dal campo di battaglia di Troia. L’autore, il cosiddetto Pittore di Thanatos, è vissuto nel V secolo a.C. ad Atene. Dettaglio da una lekythos attica a fondo bianco datata agli anni 440-430 a.C. circa. British Museum, Londra (Cat. Vases D56).

indice - presentazione - autore - sintesi

35,00

Gherardo Ugolini

L’Anassagora di Diego Lanza

Diego Lanza (1937-2018) è conosciuto soprattutto come studioso del teatro greco antico, un campo di ricerca nel quale si è guadagnato una solida notorietà internazionale grazie soprattutto alle monografie Il tiranno e il suo pubblico (1977) e La disciplina dell’emozione (1997), oltre che all’edizione della Poetica di Aristotele (1987) e a numerosi contributi su rivista e in miscellanee.1 Ma gli studi e le pubblicazioni di Lanza hanno abbracciato un ambito ben più ampio, toccando svariati altri campi del sapere come, per citarne alcuni, la religione, l’antropologia, la linguistica, la storia della filologia classica. Meno noti sono gli studi di Lanza sulla filosofia antica, soprattutto su quella presocratica, coltivati intensamente soprattutto negli anni giovanili, quelli in cui, dopo il conseguimento della laurea in Letteratura greca (1959) e dopo la borsa di studio annuale presso la Stiftung Maximilianeum di Monaco di Baviera (1959/60), si avviava ad intraprendere la carriera di professore all’università di Pavia.

Una menzione particolare meritano i saggi dedicati ad Anassagora di Clazomene, tutti pubblicati tra il 1963 e il 1966, quando Lanza non aveva ancora raggiunto i trent’anni. A dispetto della giovane età dell’autore sono studi alquanto maturi e approfonditi, oltre che originali nel contenuto e nella prospettiva. Probabilmente non si sbaglia nell’affermare che Lanza è stato il maggior studioso italiano di Anassagora nel Novecento, se solo si pensa al lungo saggio Il pensiero di Anassagora, che fu pubblicato nelle «Memorie dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere» (1965) e che per l’estensione può essere considerato una monografia a sé stante,2 e alla sua edizione dei frammenti e delle testimonianze, che gli fu commissionata da Mario Untersteiner per la collana “Biblioteca di studi superiori” della Nuova Italia (1966).3 Quell’edizione è stata, ed in buona misura è ancora oggi, un testo di riferimento per gli studi anassagorei. Lanza non si è affatto limitato a tradurre in italiano i testi pubblicati da Diels e Kranz nella loro epocale edizione dei Vorsokratiker (di cui conserva la numerazione dei frammenti e delle testimonianze). Vi ha aggiunto molti nuovi testi della tradizione dossografica offrendo inoltre un commento, non solo su ogni frammento, ma anche su ogni testimonianza, così da esplicitare di volta in volta il contesto dal quale i passi sono ricavati.

Ma al presocratico Anassagora Lanza ha dedicato altri lavori, concentrati su tematiche più specifiche, ma non per questo meno significativi. Il primo in ordine cronologico è quello intitolato Le omeomerie nella tradizione dossografica anassagorea (1963), un’accurata ricostruzione della dossografia relativa ad Anassagora, in base alla quale risulta evidente che la dottrina delle cosiddette “omeomerie” (ὁμοιομέρειαι) era estranea al filosofo di Clazomene e fu costruita in epoca successiva.4 In Anassagora μάλα φιλόσοφος (1964), Lanza ripercorre l’interpretazione aristotelica di Anassagora: mentre nel Protrettico il filosofo di Clazomene viene considerato, insieme con Parmenide, come l’iniziatore del pensiero ontologico, nelle opere successive Aristotele lo inserisce tra i cosiddetti φυσικοί (‘filosofi della natura’). La ragione di tale mutamento di prospettiva da parte di Aristotele si ricollega alla rielaborazione platonica della dottrina di Anassagora dell’ἄπειρον e del νοῦς.5 Nel saggio L’ἐγκέφαλος e la dottrina anassagorea della conoscenza (1964), Lanza dimostra come Anassagora dovette riprendere, tra le altre scoperte della scienza ionica, anche la dottrina relativa all’attività coordinatrice del cervello (ἐγκέφαλος) nell’articolazione del processo di conoscenza.6 Il breve scritto intitolato Un nuovo frammento di Alcmeone (1965), pur non avendo Anassagora come oggetto diretto di analisi, propone di attribuire al medico-filosofo di Crotone Alcmeone un frammento tramandato sotto il nome del poeta Alcmane (fr. 125 Page = Schol. Pind. Isth. I, 56) individuando nelle parole di quel frammento «la prima dichiarazione metodologica testuale della scienza greca» da rapportare alla «cerchia dei biologi operanti nell’ambiente anassagoreo di Atene».7

Poiché tutta questa ricca produzione su Anassagora si trova sparsa su fascicoli di riviste spesso difficili da reperire, si è pensato che potesse essere utile raccoglierla in un volume unitario, insieme ad altri saggi di filosofia antica pubblicati da Lanza negli anni seguenti. Il titolo del presente libro, Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica, mira a focalizzare due concetti chiave della ricerca di Lanza, con riferimento specifico al νοῦς anassagoreo (da intendere come ‘intelletto’, ‘mente’, ‘ragione’) quale principio ordinatore del cosmo, che genera il movimento circolare turbinoso (περιχώρησις) in virtù del quale le sostanze si dividono in base al principio dei contrari. La nozione di morte (θάνατος), invece, costituisce il tema centrale di due studi usciti nel 1980 e dedicati rispettivamente alla tradizione epicurea (La massima epicurea: «Nulla è per noi la morte»)8 e alla biologia aristotelica (La morte esclusa).9 Nel primo, Lanza illustra come il disprezzo per la morte, già presente in Socrate e Aristotele, risulti accentuato da Epicuro, il quale considerava la morte come una semplice privazione della sensibilità, e quindi come un vuoto che non appartiene più all’uomo. Nel secondo, analizza il tema della morte nel corpus degli scritti aristotelici per arrivare alla conclusione che lo Stagirita ne dà una definizione precisa e completa solo a livello biologico; in altri contesti la morte viene men­zionata come causa di una paura che il coraggioso deve saper superare, in un quadro d’insieme per cui tendenzialmente nella scienza aristotelica per la morte non c’è posto, neppure in chiave negativa, come del resto per gli dèi e per la religione in generale.

Nel volume sono compresi inoltre alcuni altri saggi. Uno è Σοφία e σωφροσύνη alla fine dell’Atene periclea, del 1965, nel quale Lanza, prendendo le mosse da Tucidide e dal Carmide di Platone tematizza il contrasto tra i concetti di σοφία e di σωφροσύνη: la prima, da intendere in senso dinamico, è l’uso dell’intelligenza, peculiare degli Ateniesi; la seconda, statica, si traduce in tranquillità e ordine, ed è caratteristica degli Spartani. Tracce di tale contrapposizione si trovano anche nella Medea e nell’Ippolito di Euripide (dove la figura di Ippolito è presentata come modello di σωφροσύνη).10 Lo studio del 1971, intitolato La critica aristotelica a Platone e i due piani della Politica, analizza un passo cruciale del II libro della Politica di Aristotele (II, 1-5), dove si possono individuare due piani distinti nella trattazione, quello relativo all’analisi socio-economica e quello relativo alla riflessione etica: due piani che risultano costanti in tutta l’opera. Analizzando l’uso del lemma ἀρετή (‘virtù’, ‘abilità’) nella Politica, Lanza giunge a dimostrare come esso rimanga sempre un valore estraneo alla rigorosa disamina sociale ed economica di Aristotele, finendo col costituire un piano separato, in quanto mezzo per superare le contraddizioni rivelate dall’analisi storica.11

Infine, nel contributo Xenophanes: Eine Theologie? (del 2005), Lanza si dedica alla figura del poeta itinerante Senofane analizzando quanto le fonti antiche hanno tramandato sul suo conto. Se Aristotele lo menziona solo come maestro di Parmenide, il resto della tradizione si presenta molto frammentato, con la connessa questione di comprendere se si tratti sempre di testimonianze dirette o piuttosto di una tradizione dossografica diffusa. La teologia di Senofane, come altre teologie del suo tempo, era probabilmente composta da narrazioni, riflessioni e affermazioni, dietro le quali non c’erano né regole cultuali né un apparato sacerdotale.12

L’autore di questa nota introduttiva ha avuto la fortuna di frequentare le lezioni e i seminari di Diego Lanza all’università di Pavia nei primi anni Ottanta del secolo scorso. Nella memoria rimane scolpito il ricordo di un seminario per gli studenti del secondo anno che biennalizzavano l’esame di Letteratura greca, dedicato per l’appunto alla figura di Anassagora. Lanza accoglieva ogni giovedì pomeriggio gli studenti del seminario attorno ad un tavolo nella saletta attigua al suo ufficio e li iniziava all’esegesi dei frammenti anassagorei in un clima di dialogo e confronto dialettico nel quale si cercava di abbattere ogni barriera tra docente e discenti (seminario «alla tedesca», come era solito dire). Per gli inesperti studenti si apriva la strada che portava ad impratichirsi con un metodo di lavoro filologico che tendeva a problematizzare costantemente i risultati e a generare domande piuttosto che a giungere a soluzioni definitive. Per Lanza si trattava di verificare, a distanza di alcuni anni, la tenuta delle conclusioni alle quali era giunto nei lavori giovanili.

In quel seminario i partecipanti hanno certamente potuto apprezzare quanto la figura di Anassagora fosse stata importante e affascinante per Lanza e come proprio nello studio di quel filosofo presocratico egli avesse messo a punto e perfezionato una propria specifica metodologia ermeneutica. L’approccio praticato da Lanza su Anassagora – lo stesso che utilizzerà negli anni successivi per interpretare la tragedia greca, la figura del tiranno nel teatro, la Poetica e gli scritti biologici di Aristotele, gli snodi teorici della storia degli studi classici – muove dall’analisi linguistica e stilistica dei testi, e punta alla comprensione del contesto storico-culturale in cui inquadrare ogni singola testimonianza, con la finalità di smascherare e decostruire i modelli d’interpretazione che si sono costruiti e consolidati nel corso del tempo, ovvero quelle che Lanza definiva, con un termine a lui particolarmente caro, le “ideologie”. Il tutto senza mai ostentare la presunzione di aver raggiunto un’interpretazione oggettivamente vera e definitiva, ma sempre nell’ottica di problematizzare le questioni illuminandole da molteplici punti di vista.

Applicato allo studio di Anassagora questa metodologia di ricerca ha portato il giovane studioso ad esiti sorprendenti, innovativi e certamente destinati a durare nel tempo. Il primo risultato conseguito da Lanza riguarda il concetto di “omeomerie”, termine mai usato dal filosofo di Clazomene. Gli studi di Lanza chiariscono bene da un lato che la dottrina delle omeomerie è un’invenzione dossografica tarda, databile al I secolo a.C., e dall’altro che su tale concetto si erano accumulate varie spiegazioni pseudo-scientifiche, le quali riprendevano la volgarizzazione delle speculazioni chimiche di fine Ottocento. Ma ovviamente i concetti propri della fisica e della chimica moderne non sono compatibili con le conoscenze del V secolo a.C.: è lo stato frammentario dell’opera anassagorea che ha inevitabilmente facilitato le tentazioni di attribuirgli abusivamente concezioni non sue.

Tutta l’analisi di Lanza si sviluppa in contrapposizione con un’interpretazione del pensiero di Anassagora, diffusa soprattutto nella ricerca anglosassone, marcatamente orientata nella direzione dell’atomismo e del corpuscolarismo. Ma è profondamente sbagliato assimilare il sistema anassagoreo con una sorta di atomismo, tanto più che «ad Anassagora manca non solo il concetto di particola connesso a quello di vuoto, ma anche il concetto di materia».13 Partendo dall’analisi del lessico impiegato da Anassagora, Lanza dimostra come si tratti di parole molto più generiche e banali di quello che la tradizione dossografica ed ermeneutica ha costruito a posteriori. Anassagora parla sempre di χρήματα (‘cose’), termine comune e senza alcuna determinazione specifica o tecnica, che Aristotele identificherà con qualcosa di analogo ai propri ὁμοιομερ?, per la loro irriducibilità a una qualità pura. L’errore compiuto dagli interpreti moderni (che in effetti ha origine già nell’antichità) consiste nell’avere inteso le omeomerie come particelle infinitesimali attribuendo così ad Anassagora una dottrina particolaristica.

Allo stesso modo, anche altri termini chiave del pensiero anassagoreo, per esempio πλῆθος, σπέρματα, ἀποκρίνεσθαι non hanno un significato specialistico, e non debbono essere inquadrati in una visione di tipo atomistico o corpuscolare. Nell’uso pre-aristotelico, per esempio, il termine πλῆθος (‘moltitudine’, ‘massa’) non implica affatto una connotazione numerica. Quanto a σπέρματα (‘semi’), nell’uso anassagoreo il sostantivo non indica le particelle elementari che entrano nella composizione delle cose, sulla falsariga della dottrina atomistica. Sarà Epicuro ad usare σπέρματα in quel senso specifico. Osservando le uniche due occorrenze del termine in Anassagora (frammenti 59 B 4a DK e B 4b DK), Lanza nota che gli σπέρματα sono caratterizzati solo dalla loro indeterminatezza quantitativa e dal fatto che sono tutti diversi tra di loro. Il verbo ἀποκρίνεσθαι, infine, non indica tanto un processo di ‘separazione’, come era comunemente inteso, bensì di ‘formazione per separazione’, come attestato in molte occorrenze del Corpus Hippocraticum.

Un altro punto decisivo dell’interpretazione fornita da Lanza circa il pensiero di Anassagora riguarda la funzione del νοῦς (‘intelletto’, ‘mente’, ‘ragione’), principio che presiede e governa la cosmogonia, come già si è visto. Che rapporto sussiste tra i χρήματα e il νοῦς? Secondo Lanza non è corretto vedere un’opposizione di tipo materiale/immateriale. Anche in questo caso l’argomentazione poggia fondamentalmente su basi linguistiche: la terminologia di Anassagora non è tale da permettere che il νοῦς sia considerato immateriale, dal momento che il vocabolario che usa per definirlo è fondamentalmente lo stesso che adotta per descrivere i χρήματα. Non sussiste pertanto un dualismo di tipo ontologico o metafisico; semplicemente il νοῦς si oppone ai χρήματα come l’assoluto al relativo. E tale dualismo si riflette grammaticalmente nel fatto che i χρήματα sono qualificati da comparativi e il νοῦς da superlativi. Il νοῦς è parte dei χρήματα, è anch’esso una ‘cosa’, ma mentre i vari χρήματα sono mescolati tra di loro, il νοῦς ha uno status proprio, ovvero è assoluto, omogeneo a sé stesso e indivisibile (l’omogeneità impedisce di distinguere le parti in esso). Tale specificità e alterità del νοῦς fa sì che esso abbia potere sui χρήματα; va considerato come elemento-limite di un sistema, ma proprio in quanto elemento-limite diventa al tempo stesso estraneo ed eterogeneo al sistema.

Su un piano di più ampio respiro, Lanza mette in discussione con i suoi studi e la sua edizione un altro fondamentale paradigma che negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso si era imposto come dominante: quello che tendeva a vedere in Anassagora non tanto il pensatore che segna il passaggio dalla riflessione sulla Natur a quella sul Geist, secondo lo schema canonico di Eduard Zeller, bensì come il fondatore del pensiero laico-razionalista dell’antica Grecia, nel quadro di una visione per cui «il quinto secolo a.C. ad Atene sarebbe stato in tutto e per tutto simile all’Illuminismo, e che la sofistica sarebbe stata un movimento simile a quello degli enciclopedisti».14 Lanza mette in guardia dalla tendenza ad utilizzare simili analogie anacronistiche: se è vero che la figura di Anassagora, accusato di empietà nella fase storica in cui la stagione del potere di Pericle stava per concludersi, divenne il modello del libero pensatore greco, perseguitato dall’oscurantismo bigotto, tuttavia non ha senso parlare di laicità e di illuminismo ante litteram. Soprattutto perché nella cultura greca del tempo non si può neppure parlare di clericalismo, visto che nella polis non esiste un clero organizzato paragonabile a quello degli Egiziani e di altre civiltà orientali, né domina un canone dogmatico consacrato a cui attenersi. La nota affermazione di Anassagora secondo cui il sole «è una massa infuocata, più grande anche del Peloponneso» (A 1 DK) doveva apparire allora meno irreligiosa di quanto si possa immaginare oggi. Solo in tempi successivi «la figura di Anassagora fu contraffatta fino a diventare una sorta di archetipo di tutti gli uomini di pensiero attenti alla ricerca speculativa e indegni di qualsiasi altro interesse mondano».15

Ma basta studiare attentamente la sua prosa e il suo stile espositivo per verificare quanto Anassagora fosse legato a forme arcaiche e sapienziali (si pensi allo stile innodico-religioso con cui introduce il νοῦς in B 12 DK), ben lontane da un modello di enunciazione di taglio scientifico.16

Anziché celebrarlo come anacronistico esponente di un avanzato razionalismo laico, Lanza approfondisce i legami di Anassagora con la scuola filosofica ionica, con quella eleatica, e con la tradizione medica (scuola di Cos). È in quegli ambienti culturali che si definisce il pensiero di Anassagora, senza dimenticare l’importante incidenza del lungo soggiorno ateniese. La teoria del νοῦς potrebbe essere vista, in fondo, come il frutto dell’incontro tra Anassagora e Atene, tra la concezione naturalistica ionica e il pensiero morale e politico ateniese.

In conclusione, corre l’obbligo di ringraziare sentitamente Carmine Fiorillo della casa editrice Petite Plaisance per l’impegno solerte e appassionato con cui si è dedicato alla ristampa degli scritti di Diego Lanza e per avere, nel caso specifico del presente volume, recuperato, raccolto e ricomposto in modo inappuntabile tutti i saggi che vi sono compresi, con anche l’aggiunta di note esplicative e la traduzione dei passaggi in greco. Un ringraziamento affettuoso è rivolto a Nicoletta Rostan, a Simone e Andrea Lanza per il sostegno costante e fattivo al lavoro di ristampa e ripubblicazione degli scritti di Diego Lanza. Da ultimo esprimo a mia riconoscenza a tutti i direttori delle riviste e ai curatori delle miscellanee che hanno generosamente concesso l’autorizzazione a ristampare gli articoli che qui sono stati raccolti.

Note

1 D. Lanza, Il tiranno e il suo pubblico, Einaudi, Torino 1977, rist. Petite Plaisance, Pistoia 2020; trad. francese: Le tyran et son public, Belin, Paris 1997; Id., La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca, il Saggiatore, Milano 1997, rist. Petite Plaisance, Pistoia 2019; Aristotele, Poetica, traduzione, introduzione e note di D. Lanza, Rizzoli, Milano 1987.

2 D. Lanza, Il pensiero di Anassagora, «Memorie dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», 29, 1965, pp. 225-288. Cfr. infra, pp. 93-188.

3 Anassagora, Testimonianze e frammenti, traduzione, introduzione e note a cura di D. Lanza, La Nuova Italia, Firenze 1966. L’Introduzione a tale edizione è ripubblicata nel presente volume: cfr. infra, pp. 189-205.

4 Pubblicato in «La Parola del Passato», 91, 1963, pp. 256-293. Cfr. infra, pp. 17-61.

5 Pubblicato in «Athenaeum», 42, 1964, pp. 548–559. Cfr. infra, pp. 75-92.

6 Pubblicato in «Maia», Nuova Serie, 16, 1964, pp. 71-78. Cfr. infra, pp. 63-74.

7 Pubblicato in «Maia», Nuova Serie, 17, 1965, pp. 278-280. Cfr. infra, pp. 207- 213.

8 Pubblicato in Democrito e l’atomismo antico, a cura di F. Romano, Atti del Convegno internazionale, Catania 18-21 aprile 1979, Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania, Catania 1980, pp. 357-365. Cfr. infra, pp. 283-292.

9 Pubblicato in «Quaderni di Storia» 11, 1980, pp. 157-172. Cfr. infra, pp. 293-310.

10 Pubblicato in «Studi Italiani di Filologia Classica», 37, 1965, pp. 172–188. Cfr. infra, pp. 215-237.

11 Pubblicato in «Athenaeum», Nuova Serie, 49, 1971, pp. 355-392. Cfr. infra, pp. 239-282.

12 Pubblicato (in lingua tedesca) in Frügriechisches Denken, a cura di G. Rechenauer, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 2005, pp. 102-117. Cfr. infra, pp. 311-334.

13 D. Lanza, Le omeomerie nella tradizione dossografica anassagorea, cit. p. 290; cfr. infra, p. 57.

14 Così si esprime lo stesso Lanza in una riflessione retrospettiva (En guise de conclusion), pubblicata nel volume Diego Lanza, lecteur des oeuvres de l’Antiquité: Poésie, philosophie, histoire de la philologie, a cura di P. Rousseaue R. Saetta Cottone, «Cahiers de philologie», vol. 29, Presses Universitaires du Septentrion, Villenueve d’Ascq 2013, pp. 269-276, citazione a p. 269. Tutti i contributi del volume sono consultabili online al link: https://books.openedition.org/septentrion/6025 (ultimo accesso 6.4.2022).

15 D. Lanza, Introduzione, a Testimonianze e frammenti, traduzione, introduzione e note, cit. p. XIII (cfr. infra, p. 199).

16 Cfr. G. Ugolini, Appunti sullo stile di Anassagora, «Elenchos», 6, 1985, pp. 315- 332.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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