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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 409

Vittorio Morfino

Hegel e l'ombra di Spinoza. I concetti di organismo e violenza

ISBN 978-88-7588-321-8, 2022, pp. 216, formato 140x210 mm., Euro 25 – Collana “Il giogo” [145].

In copertina: Luca Pinzolo, Hegel ad Amsterdam, tecnica mista su tela, 40x50, 2022.

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25,00

I due testi qui riproposti in seconda edizione, Substantia sive organismus e Sulla violenza, furono pubblicati rispettivamente nella collana “Hegeliana” della casa editrice Guerini e per Ibis edizioni, entrambi con una prefazione di Fulvio Papi: il primo nel 1997 e il secondo nel 2000. Quando Carmine Fiorillo mi ha prospettato l’idea di fare una seconda edizione di Sulla violenza, gli ho proposto a mia volta di pubblicare i due libretti insieme perché legati più di quanto possa apparire a un primo sguardo. Entrambi prendono avvio da un seminario sulla Scienza della logica di Hegel tenutosi per alcuni anni (a metà degli anni Novanta) all’Università degli Studi di Milano attorno alla cattedra di Storia della filosofia politica di Mario Cingoli. Althusser dice che «si comincia sempre da qualche parte»: io ho cominciato da Hegel. Ho cominciato da Hegel non essendo tuttavia hegeliano, bensì colpevole, per citare di nuovo Althusser, «d’une passion autrement forte et compromettante»:1 lo spinozismo. Il progetto che allora mi animava era, certo, quello di approfondire Hegel per capire meglio Marx: non tanto però per comprendere meglio il suo pensiero alla luce delle categorie della Scienza della logica (secondo una strada indicata da un famoso “aforisma” dei Quaderni filosofici di Lenin),2 quanto per tracciare una linea di demarcazione en connaissance de cause tra i due, evidentemente sotto l’influenza di Althusser ma, ancor più, di un testo che mi era apparso, e mi appare ancora oggi, di un’importanza teorica capitale: Hegel ou Spinoza di Pierre Macherey.3  Ho dovuto scoprire, in anni di lavoro e ricerca, che questa linea, da un punto di vista storiografico, non è facile da tracciare in modo così esatto né rispetto al pensiero di Marx,4 né rispetto alla tradizione marxista successiva, e tuttavia penso ancora si tratti di un lavoro teorico necessario e che esso debba essere compiuto con l’aiuto di Spinoza. Il titolo che ho proposto, Hegel e l’ombra di Spinoza, indica in questo senso che lo “Spinoza” presente in questi testi ha un carattere umbratile: solo i contorni risultano definiti in modo netto, mentre al sistema e alla sua complessa concettualità si fa solo allusione. E tuttavia quell’ombra è stata necessaria per non farsi “digerire” dalla stupefacente macchina di pensiero hegeliana, per opporre resistenza a una lingua filosofica tanto complessa quanto affascinante, il cui apprendimento, va detto con chiarezza, costituisce una straordinaria e, forse, insostituibile introduzione al “teorico”. Tuttavia, rileggendo questi lavori dopo più di vent’anni, mi sono reso conto, con sorpresa, che quei contorni sono già quelli del “mio” Spinoza,5 dello Spinoza che ho cominciato a costruire in quegli anni e poi successivamente, sia approfondendone la genealogia materialista, nella direzione di Lucrezio e Machiavelli soprattutto, sia contrapponendolo alla tradizione dominante della filosofia moderna e contemporanea, da Descartes a Husserl e oltre.6 Qualche cosa qui comincia a intravedersi nel corpo a corpo con Hegel, benché sempre in controluce, sempre per differenza. In particolare, la ricostruzione della lettura hegeliana della teoria spinoziana della sostanza, nel suo andare oltre Kant, ma attraverso, per mezzo della griglia concettuale fornita da Kant nella Critica della ragion pura e nella Critica del giudizio, permette di ripresentare sulla scena filosofica un’alternativa di fatto rimossa dal trascendentale hegeliano, “il divenir soggetto della sostanza”, divenire in cui la violenza gioca un ruolo fondamentale come indicatore di direzione. Una relazionalità senza teleologia,7 una contingenza pensata non come interruzione della necessità ma come sua complicazione, ed una teoria della temporalità che si sottragga tanto alla metafora del circolo, quanto a quello della linea o della freccia,8 cominciano qui a scorgersi come alternativa (e antidoto) all’interpretazione hegeliana della sostanza come organismo.9 Per la costruzione di questa via alternativa, nondimeno, resta ancora molto lavoro da fare.

Nel riproporre questi lavori mi sono limitato a correggere i refusi e a uniformare il modo di citare. Non ho toccato né lo stile, né soprattutto il tono spavaldo e persino arrogante che mi sembra, con sguardo retrospettivo, giustificato dalla congiuntura ideologico-teorica di quegli anni: si trattava di conquistare uno spazio tra una storiografica filosofica completamente appiattita sul lavoro d’archivio (pur indispensabile!) e una filosofia teoretica dominata dall’“ermeneutica del trattino” di stampo heideggeriano, l’una e l’altra unite nel tranciare con decisione ogni connessione del pensiero con la politica, in altre parole nel seppellire il marxismo. Non ho toccato nemmeno il contenuto dei testi: oggi forse sarei più prudente nel chiamare in causa la teoria aristotelica della causalità, senza alcuna mediazione storica, per spiegare la differenza tra la causa sui spinoziana e quella hegeliana, di certo non attribuirei ad Aristotele una concezione ordinaria del tempo, cosa che feci evidentemente in omaggio alla vulgata heideggeriana allora dominante. Mi sono sembrati, in fondo, peccati veniali, così come a un peccato di gioventù può attribuirsi lo smodato proliferare di note nel saggio sulla lettura hegeliana di Spinoza.

Ho deciso infine di non ripubblicare la bibliografia sul rapporto Hegel-Spinoza che stava in appendice al primo testo (perché, evidentemente, invecchiata),10 così come le due prefazioni con cui Fulvio Papi, con la consueta generosità, presentava il mio lavoro alla comunità di allora.

 

1 L. Althusser, Éléments d’autocritique, in Id., La solitude de Machiavel, éd. par Y. Sintomer, PUF, Paris 1998, p. 181. Althusser si riferisce in realtà alla presunta “colpa” dello strutturalismo, per confessare il suo spinozismo.

2 Il passaggio, notissimo, è il seguente: «[…] non si può comprendere perfettamente il Capitale, e in particolare il suo primo capitolo, se non si è compresa e studiata attentamente tutta la logica di Hegel. Di conseguenza, dopo mezzo secolo nessun marxista ha capito Marx!» (V.I. Lenin, Quaderni filosofici, introduzione di R. Fineschi, PGreco, Milano 2021, p. 167).

3 P. Macherey, Hegel ou Spinoza, Maspero, Paris 1979, tr. it. italiana della seconda edizione (La Découverte 1990), a cura di E. Marra, Ombrecorte, Verona 2016.

4 Su questo punto mi sembra di primissima importanza il lavoro di Roberto Finelli: cfr. Il parricidio mancato. Hegel e il giovane Marx, Boringhieri, Torino 2004 e Il parricidio compiuto. Il confronto finale di Marx con Hegel, Jaca Book, Milano 2016.

5 Per la semplice ragione, forse, che il “mio” Spinoza non mi appartiene affatto, ma nasce da alcune intuizioni di Althusser, sviluppate poi da Étienne Balibar, Pierre Macherey, Warren Montag e altri, senza contare l’importanza del dialogo costante con lo spinozismo della tradizione operaista nato, nel carcere di Rebibbia, dal meraviglioso libro di Antonio Negri L’anomalia selvaggia. Saggio su potere e potenza in Baruch Spinoza (Feltrinelli, Milano 1982).

6 Mi riferisco a Incursioni Spinoziste. Causa, tempo, relazione, Mimesis, Milano 2002; Il tempo e l’occasione. L’incontro Spinoza Machiavelli, LED, Milano 2002; Il

tempo della moltitudine, manifestolibri, Roma 2005; Spinoza e il non contemporaneo, Ombrecorte, Verona 2009.

7 Su questo punto cfr. É. Balibar, V. Morfino (a cura di), Il transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni, Mimesis, Milano 2014 e il mio Intersoggettività o transindividualità, in corso di pubblicazione presso manifestolibri.

8 Su questo punto sto lavorando da anni senza tuttavia che sia prevedibile, in tempi brevi, la pubblicazione di un testo complessivo sulla questione. Risultati parziali si trovano nel testo collettivo Tempora multa. Il governo del tempo, Mimesis, Milano 2013 (cfr. la mia introduzione, pp. 9-26) e nel numero di 18 di «Quaderni materalisti» che raccoglie, a cura di Elia Zaru, gli atti di un convegno tenutosi a Padova il 18-19 dicembre 2017 con il titolo Plural temporality and Anachronism. The Marxist Tradition Against the Grain. Sul tema è da tenere presente naturalmente il lavoro di Massimiliano Tomba, Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Jaca Book, Milano 2013.

9 Tra l’altro la questione della distinzione tra il concetto di sostanza spinoziano e il concetto hegeliano di organismo ha delle ricadute interessanti sullo stesso concetto althusseriano di causalità strutturale, che pur volendosi demarcare dal modello hegeliano di causalità appoggiandosi al concetto di causalità immanente spinoziano, reintroduce, attraverso il riferimento al concetto di Gliederung e di insieme organico, utilizzati da Marx nell’Introduzione del 57 per definire la relazione tra produzione, distribuzione, scambio e consumo, un elemento chiave della costruzione teorica hegeliana. Il termine Gliederung rinvia infatti alla Scienza della logica, in specifico alla parte della Dottrina del concetto dedicata al «Leben» (sezione III, capitolo I), in cui viene pensata l’immanenza del concetto a ciò che è vivente, in altre parole la finalità interna dell’organismo: «Poiché al vivente il concetto è immanente, la finalità sua dev’essere intesa come interna; il concetto è nel vivente come concetto determinato, distinto dalla sua esteriorità e tale che nel suo distinguere la penetra e resta identico con sé. Questa oggettività del vivente è organismo; è il mezzo e lo strumento dello scopo, perfettamente corrispondente a questo, poiché la sostanza di cotesta oggettività è costituita dal concetto. Ma appunto perciò questo mezzo e strumento stesso è lo scopo realizzato, nel quale lo scopo soggettivo è pertanto immediatamente concluso con se stesso. Dal lato dell’esteriorità l’organismo è un molteplice non già di parti, ma di membra [Glied]» (G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik (zweiter Band «Die subjektive Logik»), hrsg. von F. Hogemann und W. Jaeschke, in GW, Bd. 12, 1981, p. 184, tr. it. a cura di A. Moni, riveduta da C. Cesa, vol. II, Laterza, Roma-Bari 1968, p. 870). Su questo punto cfr. il mio «Il concetto di causalità in Althusser», in É. Balibar, A. Cavazzini, V. Morfino (a cura di), Sconfinamenti. Scritti su marxismo, economia ed epistemologia in onore di Maria Turchetto, Mimesis, Milano 2016, pp. 57-76.

10 Per una bibliografia aggiornata cfr. V. Morfino, Genealogia di un pregiudizio. L’immagine di Spinoza in Germania da Leibniz a Marx, Olms, Hildesheim 2016, pp. 344-351.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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