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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 413

Arianna Fermani

L’errore, il falso e le scienze in Aristotele.

ISBN 978-88-7588-351-5, 2022, pp. 96, formato 140x210 mm., Euro 13 – Collana “Il giogo” [150].

In copertina: Busto di Aristotele, Museo del Louvre, Parigi.

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13,00

Con questo contributo mi propongo essenzialmente tre obiettivi: due più specifici, e uno di carattere più generale.

In primo luogo vorrei esaminare, da un punto di vista prevalentemente etico-antropologico, il nesso e/o i nessi che, nel testo aristotelico, vengono ad instaurarsi tra errore (ἁμαρτία/ἁμάρτημα) e falso/falsità (ψεῦδος). Detto in altri termini: che differenza c’è, se c’è, tra chi sbaglia, cioè tra chi commette un errore, e chi dice il falso?

Secondariamente mi propongo di analizzare il rapporto che viene ad instaurarsi tra la scienza e il binomio errore-falso. Chi possiede la scienza può sbagliare oppure no? E, se sì, in quale modo?

Il terzo obiettivo, che è di carattere più generale e che sta sullo sfondo di questa riflessione, è il seguente: mostrare come, anche per la comprensione di questi passaggi e di questi nessi, possa essere proficuamente messa in gioco la figura “teorica” del pollachos legomenon, cioè del “dirsi in molti modi”. Naturalmente, in questa sede, non intendo minimamente entrare nel merito di questioni logico-ontologiche legate a questa fondamentale formula aristotelica, né affrontare la questione “in senso tecnico”, ma mi servirei di questa figura in senso lato, semplicemente per indicare quella movenza tipicamente aristotelica consistente nella continua e costante moltiplicazione degli schemi esplicativi della realtà.

Applicare ai testi aristotelici la figura teorica del pollachos legomenon significa riconoscere che, secondo Aristotele, ogni cosa è ed è dicibile in molti modi e che gli schemi di lettura e di descrizione del reale, per risultare effettivamente esplicativi del proprio oggetto, devono essere costantemente moltiplicati e tenuti aperti. Ecco perché non esistono mai (o quasi mai), nei testi aristotelici, definizioni univoche, descrizioni unilaterali, argomentazioni fondate sull’aut-aut. Questa movenza mi sembra riscontrabile anche a proposito delle tre nozioni che, rapidamente, saranno passate in rassegna: l’errore, il falso e le scienze.

Questo breve tentativo di attraversamento si baserà essenzialmente sulla riflessione etica dello Stagirita, anche se la maggior parte delle occorrenze di ἁμαρτία si trovano nei Topici e quelle di “falso” negli Analitici Primi (e, più in generale, nel blocco delle opere logiche). Dato ovvio, visto che la nozione di falso, e di vero, che al falso è strutturalmente congiunta, rimanda in modo pressoché immediato all’ambito logico-linguistico. Basti solo ricordare, a titolo di esempio, che Topici VIII, 12, è dedicato ai diversi modi in cui si parla di un’argomenazione falsa, e che è proprio nelle Confutazioni Sofistiche possiamo trovare una sorta di “logica dell’errore”.

Si tratta, come appare subito evidente, di questioni molto vaste, con innumerevoli articolazioni, dotate di varie implicazioni sul piano storico-filosofico e oggetto di un ampio dibattito.

In questa sede ci si limiterà a mettere a confronto le articolazioni fondamentali delle nozioni di ψεῦδος e di ἁμαρτία, ricostruendo gli scenari di appartenenza e i “molti modi di dire” il falso e l’errore, e si cercherà di addentrarsi più nello specifico sul rapporto problematico che si viene a instaurare tra scienze/errore e falso.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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