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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 420

Salvatore Bravo

Metafisica e totalità. La vite e i suoi tralci.

ISBN 978-88-7588-365-2, 2022, pp. 136, formato 140x210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [154].

In copertina: Henri Matisse, La vite, 1951.

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15,00

La scrittura del presente saggio ha la sua ragion d’essere nella premura filosofica di pensare criticamente la cultura dell’astratto e della parcellizzazione della realtà nella quale siamo implicati.

L’atomizzazione della realtà non risponde solo agli specialismi e alle specializzazioni, i quali sono il volto “nobile” dell’ideologia imperante, ma trova il suo corrispettivo nell’irrazionalità palese del quotidiano.

L’astratto è nella pratica quotidiana, induce alla cattiva vita con la frammentazione delle parole e delle esperienze. L’irrazionale-razionale entra nelle vite di tutti, le rende incapaci di decodificare la condizione storica vissuta: vi è dunque un lento rovinare verso l’irrazionale.

La razionalità curvata sull’immediatezza è cultura dell’astratto. Si nega con l’astratto ciò che è propriamente umano: la metafisica, quale capacità genetica di pensare il senso dell’agire e di concet­tualizzarlo.

La metafisica è concretezza della e nella prassi, poiché il logos è capacità di connettere le parti per riconfigurarle la totalità e giudicarne qualità e fini. Non si tratta di totalità concluse e di ripiegamenti tattici, ma di totalità che – per loro fondazione epistemica – sono oggetto di un perenne esame e di un continuo movimento di autoriflessione comunitario. La razionalità metafisica è altra rispetto alla razionalità del semplice calcolo che si degrada in comportamenti antisociali e in tracotanza ideologica.

La metafisica è antitetica all’atteggiamento ideologico, ma lo implica, in quanto ogni soggetto e gruppo sociale è interno ad interessi particolari impliciti ed espliciti. La metafisica è movimento dialettico di autoriflessione con la “potenza costruttiva” del logos che consente di decodificarli. In tale lettura vi è la possibilità di elevarsi alla totalità-universalità metafisica.

L’universale metafisico non è astratto e non è disincarnato rispetto al vissuto dei soggetti, ma li conserva con l’attività e nell’attività concettuale. L’ideologia è violenza legalizzata, in quanto la parte cannibalizza il tutto rappresentandosi come totalità oggettiva.

La metafisica della totalità invece si materializza nel confronto tra totalità disponibili all’osmosi e alla ricerca di universali comuni. Non vi è costrizione in questo processo, non vi è l’ansia del risul­tato, ma una lenta ricerca che può avere le sue battute d’arresto e le sue regressioni, ma la chiarezza del movimento – con la sua logica che si traduce in ontologia – consente di superare le frizioni e le tensioni che si possono incontrare nell’accidentato cammino. Il percorso metafisico è sempre in bilico: deve confrontarsi con la falsa concretezza dell’empirismo e con l’integralismo economicistico che non ha tempo per il concetto.

Metafisica e ideologia sono eternamente presenti nella storia dell’umanità; solo se la tensione è esplicita siamo innanzi ad una comunità in cammino che lotta contro le sue tendenze alla disin­tegrazione e al nichilismo.

La condizione attuale integralmente ideologica e violentemente nichilista rende urgente il discorso metafisico.

La metafisica ha ricevuto la scomunica dagli oratores del potere: essa è scacciata dalle stesse accademie dove dovrebbe essere coltivata. L’esilio della metafisica è l’indicatore più forte e vero della verità ideologica, in cui versiamo e delle pericolose derive a cui assistiamo. La pubblica rinuncia alla metafisica è il disvelamento del dominio tecnocratico.

La filosofia è sopravvissuta imitando il linguaggio della scienza e negando il suo statuto epistemico: chi perde imita il linguaggio del vincitore, è una legge che la storia non ha quasi mai smentito.

La filosofia delle accademie è organica al nuovo corso del mondo. Le complicità interne hanno favorito la sconfitta.

La verità la si può respingere, ma essa ritorna con le mareggiate della storia.

La metafisica è altro linguaggio rispetto alla scienza – senza di essa l’essere umano è incompleto e mutilo –, per cui ha continuato a vivere in modo carsico e discreto, e non potrà che tornare a rioccupare il ruolo che le spetta nell’esistenza umana.

La scomunica sociale dimostra un’intima fragilità del sistema che può vincere e affermarsi solo con la propaganda e con la ripetizione compulsiva degli slogan. La metafisica provoca, induce ad “uscire fuori”, non si sottrae al confronto, poiché cerca la verità che resiste alle imboscate delle pubbliche opinioni. Dove vi sono scomunicati impera l’integralismo ideologico da fessurare con la metafisica.

La metafisica ha il compito di riportare la filosofia tra di noi e di riprendere il cammino interrotto dopo decenni di ideologia e silenzi metafisici. Ha ben ragione Costanzo Preve nell’affermare che i professori universitari non fondano più scuole di pensiero, ma sono manager il cui compito è di attrarre finanziamenti e iscritti:

«Oggi prevale il tipo umano del manager cattedratico, che non fonda “scuole di pensiero”, ma sollecita finanziamenti, stabilisce alleanze, risponde a committenze esterne, e soprattutto è al centro di una rete di pubbliche relazioni di tipo giornalistico».

La metafisica non può che ricevere la sua cherem dai manager delle accademie, ma essa è indistruttibile, può rinascere ovunque, in quanto è la solidale compagna che fonda la condizione umana.

Il pulviscolo delle parti in sospensione rende la realtà storica incomprensibile ed irrazionale, la totalità riporta la parte al tutto, pone in tensione razionale i due significati, senza il cui legame nulla ha senso, ma tutto evapora nel niente doloroso delle tragedie della storia.

Ogni essere umano è irripetibile, ma senza la specie, con le sue qualità universali, non è definibile come “umano”, è bensì una semplice monade indefinibile. Ciò che non si può definire è nulla e quindi può essere oggetto di ogni manipolazione. Sull’indeterminato si può agire senza limiti.

La morte di dio annunciata da Nietzsche è interpretabile anche come la morte della vecchia metafisica, ma non della metafisica in sé.

Il compito arduo che spetta ai pensatori piccoli e grandi è costruire un nuovo modello di metafisica che non cancella il precedente, ma ne sublima le forme in nuove possibilità.

La cultura, senza metafisica, non è definibile come tale. La cultura è concretezza, capacità di autoriflettere al fine di giungere al concetto con il quale trascendere l’immediatezza ideologica. Senza metafisica la cultura è depredata del suo senso, si svilisce nella mediocre pratica di ascesa sociale e di tracotante affermazione dell’io minimo e narcisista.

La cultura è totalità, è metafisica incarnata, è formazione integrale del soggetto liberato dai ceppi degli specialismi senza fondamento, in cui il soggetto decade a mediocre esecutore di ordini del sistema:

«Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici; di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è veramente dannosa specialmente per il proletariato. Serve solo a creare degli spostati, della gente che crede di essere superiore al resto dell’umanità perché ha ammassato nella memoria una certa quantità di dati e di date, che snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli altri. Serve a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore, così bene fustigato a san­gue da Romain Rolland, che ha partorito tutta una caterva di presuntuosi e di vaneggiatori, più deleteri per la vita sociale di quanto siano i microbi della tubercolosi o della sifilide per la bellezza e la sanità fisica dei corpi. Lo studentucolo che sa un po’ di latino e di storia, l’avvocatuzzo che è riuscito a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciar passare dei professori crederanno di essere diversi e superiori anche al miglior operaio specializzato che adempie nella vita ad un compito ben preciso e indispensabile e che nella sua attività vale cento volte di più di quanto gli altri valgano nella loro. Ma questa non è cultura, è pedan­teria, non è intelligenza, ma intelletto, e contro di essa ben a ragione si reagisce. La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri. Ma tutto ciò non può avvenire per evoluzione spontanea, per azioni e reazioni indipendenti dalla propria volontà, come avviene nella natura vegetale e animale in cui ogni singolo si seleziona e specifica i propri organi inconsciamente, per legge fatale delle cose. L’uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura. Non si spiegherebbe altrimenti il perché, essendo sempre esistiti sfruttati e sfruttatori, creatori di ricchezza e consumatori egoistici di essa, non si sia ancora realizzato il socialismo. Gli è che solo a grado a grado, a strato a strato, l’umanità ha acquistato coscienza del proprio valore e si è conquistato il diritto di vivere indipendentemente dagli schemi e dai diritti di minoranze storicamente affermatesi prima. E questa coscienza si è formata non sotto il pungolo brutale delle necessità fisiologiche, ma per la riflessione intelligente, prima di alcuni e poi di tutta una classe, sulle ragioni di certi fatti e sui mezzi migliori per convertirli da occasione di vassallaggio in segnacolo di ribellione e di ricostruzione sociale. Ciò vuol dire che ogni rivoluzione è stata preceduta da un intenso lavorio di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee attraverso aggregati di uomini prima refrattari e solo pensosi di risolvere giorno per giorno, ora per ora, il proprio problema economico e politico per se stessi, senza legami di solidarietà con gli altri che si trovavano nelle stesse condizioni».3

La metafisica non è attività speculativa fine a stessa, un inutile arrovellarsi su questioni distanti dalla vita reale, essa pensa la realtà storica, potenzia la consapevolezza del soggetto e, dunque, prepara la rivoluzione dello spirito senza la quale nessuna condizione storica materiale può trasformarsi in rivoluzione politica.

Senza metafisica la cinica valorizzazione delle merci e la svalorizzazione dell’essere umano sono la normalità cinica e nichilista dell’ipertrofia crematistica.

La metafisica riporta la parte alla totalità con il suo processo di razionalizzazione, neutralizza l’irrazionale pulviscolo in cui i soggetti si disperdono. La metafisica è cultura veritativa, è attività critica che separa la verità dal falso con il logos, è sguardo sulla totalità nella quale l’io ritrova la disciplina del pensiero nella concretezza ontologica e assiologica della totalità.

Alla teologia della disperazione – che separa e usa l’atomizzazione per svalorizzare il lavoro dello spirito – è necessario opporre l’umanesimo della prassi che pensa il tempo storico nella sua totalità.

La cultura non è attività che separa lo spirito dalla vitalità della psiche e del corpo, ma ricongiunge ciò che è separato, riporta il senso oggettivo dove l’economicismo ha portato la mortificazione interiore nell’ossessione edonistica dell’abbondanza. La licenza senza limiti porta all’infelicità e alla disperazione, poiché l’essere umano è per natura soggetto etico che pensa e pone fini oggettivi.

Il liberismo domina con il culto dell’emozione senza logos, pertanto l’essere umano "sente" il malessere, ma non ha le parole e le categorie per pensarlo. La discesa all’inferno è lastricata dagli eccessi dell’edonismo sregolato. Il vuoto metafisico è nella parola che vorrebbe pensare, ma è nella mordacchia della competizione e dell’utopia della sregolatezza. Si instaurano, di conseguenza, le condizioni psicologiche per l’ipostatizzazione del presente.

Ai rapporti di sudditanza diffusamente trasformati in patologia sociale la metafisica ha molto da donare, in quanto l’essere umano è animale metafisico alla ricerca di senso con lo sguardo dell’anima. Il vuoto metafisico non ha portato la libertà, ma l’insensato e il dominio. Se l’essere umano non ha natura e fondamento, il dominio può tutto, pertanto l’ideologia del relativismo ha necrotizzato ogni vincolo etico, e la libertà si è rovesciata nella legge del più forte.

L’angoscia dell’uomo contemporaneo è orrore dinanzi ai processi di cosalizzzazione, mentre sa di essere “già” un pezzo della macchina-sistema, per lui inesorabile ed incomprensibile. Il timore panico di essere trasformato in ente a disposizione del sistema provoca un senso di angoscia e smarrimento incompresi dagli stessi specialisti. Essi osservano i sintomi, si limitano ad analizzare le biografie con i loro intrecci, non toccano la profondità del dramma storico-veritativo contemporaneo. L’angoscia descritta da Kierkegaard dinanzi alle infinite possibilità progettuali e l’incapacità di discernere la scelta su fondamenta oggettivi è per l’uomo contemporaneo l’angoscia di essere entificato.

Il sistema sceglie la sua disumanizzazione totale fino a renderlo ente quantificato disponibile ad essere consumato. La rete del sistema è simile al castello di Kafka, è un’istituzione totale e totalizzante che tutto può e di cui non si conoscono le ragioni.

Senza fondamento veritativo l’essere umano perde i suoi confini, è a disposizione delle metamorfosi che il sistema esige e comanda. Senza fondamenti veritativi non si hanno confini, non ci si conosce, per cui l’angoscia si ribalta in impotenza paralizzante dinanzi alla nuova mondana divinità.

Solo la filosofia – col suo approccio olistico – può indicare la profondità della tragedia. La fuga dalla metafisica non ha portato il regno della libertà, l’ha negata, poiché l’essere umano è ora oggetto di forze incontrollabili che lo dominano: non vi sono più limiti all’azione manipolatoria, in quanto non vi è verità e non vi è metafisica. Il dominio agisce in modo indiscriminato e senza limiti, in quanto non ha fondamento, è autoreferenziale, deve solo essere coerente con i suoi postulati. L’angoscia denuncia il bisogno di alternative. L’uomo spettatore vorrebbe vivere con pienezza e chiarezza la propria condizione, vorrebbe umanizzarsi e non essere preda del capitale.

La metafisica non è un “residuo culturale” del passato, ma la possibilità più vera e profonda dell’umanità, essa riporta senso e significato nel caos dei flussi globali.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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