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Cat.n. 457

Diego Lanza

Dramata II. Scritti sulla tragedia antica e le teorie del tragico. Prefazione di Gherardo Ugolinii.

ISBN 978-88-7588-414-7, 2023, pp. 448, formato 140x210 mm., Euro 35 – Collana “il giogo” [181].

In copertina: Dioniso con i satiri. Pittura vascolare su coppa attica a figure rosse. Attribuita al Pittore di Brygos. Circa 480 a.C. Parigi, Museo del Louvre. Fonte: Wikipedia.

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35,00

Gherardo Ugolini

Diego Lanza su tragediae “tragico”

Il tragico sopravvive alla tragedia. Finita questa anche nelle sue forme più consone ai nuovi tempi, non cessa la riflessione su quella che è ormai considerata questione di natura eminentemente teorica. Il tragico s’impone così come categoria forte, anche se e forse proprio perché il suo statuto disciplinare rimane incerto: filosofico, letterario, psicologico?

Questa riflessione, contenuta nel saggio La tragedia e il tragico (1996),1 fornisce non solo un’efficace chiave di lettura, ma indica anche un filo rosso che accompagna i saggi di Diego Lanza raccolti nel presente volume. Sotto il titolo di Dramata II - Scritti sulla tragedia antica e le teorie del tragico sono compresi diciassette interventi che il grecista dell’ateneo pavese ha pubblicato tra il 1976 e il 2007 su argomenti che spaziano dalle regole della prassi drammaturgica nell’Atene del V secolo a.C. ai grandi modelli ermeneutici che hanno ripensato il “tragico” nella modernità sia nel campo degli studi filologico-antichistici (Wilamowitz, Jaeger, Pohlenz, Schadewaldt, Reinhardt, von Fritz), sia in quello prettamente artistico-drammaturgico (Hölderlin, Schiller, Goethe), sia anche in quello teorico-filosofico (Hegel, Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger, Lukàcs, Benjamin, Jaspers).

Il concetto di ‘tragico’ è trattato in particolare nell’ampio studio pubblicato sulla rivista «Belfagor» nel 1976 Alla ricerca del tragico2 e successivamente approfondito in altre due occasioni, nell’intervento La «tragedia» e il «tragico», tenuto nell’ambito di un convegno a Locarno nel 1991 e quindi pubblicato nei «Quaderni di storia,3 e nel saggio La tragedia e il tragico (1996).4

È soprattutto con Hegel, alla fine del XVIII secolo, che la nozione di tragedia si separa dal significato formale che aveva sempre avuto e che rimandava ai testi del teatro attico del V secolo a.C., per divenire una categoria estetica e filosofica, e non più soltanto poetica. La scoperta del ‘tragico’ (nozione di per sé assente nel lessico intellettuale dei Greci antichi) è dunque un’invenzione moderna ed è declinato nelle più varie forme e modelli teorico-esistenziali, fino a denotare un numero sempre maggiore di circostanze che si verificano nella vita quotidiana.

Lanza si chiede e indaga su cosa significhi oggigiorno qualificare come ‘tragedia’ un incidente ferroviario, l’omicidio di un politico eccellente o l’Olocausto. Non siamo di fronte a un semplice degrado semantico del termine, ad una sua totale banalizzazione, bensì si tratta del «supremo logoramento di un paradigma esplicativo».5 Il collegamento con la Shoah, la tragedia per antonomasia del XX secolo, non è casuale. Sulla scorta delle osservazioni di Pierre Vidal Naquet, Lanza s’interroga sulla possibile relazione tra la tragedia greca del V secolo e l’orrore di Auschwitz e conclude che la narrazione in chiave di tragedia dello sterminio, come di altre atrocità storiche, rappresenta una modalità efficace di razionalizzazione e di consolazione, per dare senso a ciò che non può essere concepito e neppure detto:

Pensare tragicamente la storia, cioè applicare la categoria, risemantizzare la categoria del tragico parlando di nimenti storici, significa stabilire un rapporto di interconnessione necessaria del prima con il poi e soprattutto del poi con il prima, quasi che ciò che avviene prima sia in funzione di quello che avviene poi, esattamente come nella vicenda tragica.

Oltre al continuo rimodularsi dei concetti di tragedia e di tragico nel corso dei secoli ci sono altri nuclei tematici che caratte­rizzano gli studi di Lanza compresi nel presente volume. Uno di questi riguarda la dimensione emozionale del teatro tragico antico ed il suo funzionamento.

Nel saggio Les temps de l’émotion tragique. Malaise et soulagement (1988)6 e in quello successivo I tempi dell’emozione tragica (1995),7 che lo riprendeva e sviluppava, così come anche nella voce Pathos (1977)8 e nell’articolo De l’émotion tragique, aujourd’hui (1999),9 l’analisi s’incentra sui meccanismi drammaturgici mediante i quali i tragediografi rielaboravano le saghe della tradizione mitica al fine di suscitare negli spettatori – attraverso la vista, la parola, la musica e il canto – un forte turbamento emotivo. Gli ingredienti sono quelli consolidati: la morte, la trasgressione, la violenza (reale o soltanto minacciata, ovvero evocata come imminente), la malattia e la follia. Nel momento in cui l’eroe protagonista del dramma realizza l’orrore che lo spettatore già conosceva e temeva, si produce una rottura dell’equilibrio e dell’armonia.

Ma lo sconcerto angoscioso provocato dalla rottura dell’ordine sociale e morale è destinato nel corso dell’azione scenica ad essere in qualche modo riassorbito. In quello che Lanza chiama “ritmo tragico” o anche “curva delle emozioni” subentra nel finale una sorta di ricomposizione. Non si tratta mai di happy end, beninteso, ma di uno sviluppo funzionale che s’indirizza verso momenti di decantazione dell’eccitazione e di sollievo ottenuto per lo più attraverso la mimesi di pratiche rituali ben conosciute al pubblico, per esempio i compianti funebri. L’emozione collettiva, suscitata dagli eventi della messinscena, viene in tal modo riassorbita e disciplinata, convogliata dentro prassi di conforto abituali e consolidate che restituiscono la norma e l’equilibrio.

Non è difficile scorgere dietro questo modello esplicativo, tante volte proposto e approfondito da Lanza e presentato nella forma più compiuta nel volume La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca,10 l’ombra della Poetica di Aristotele e di quella misteriosa nozione di “catarsi” che rimane per gli studiosi un enigma da decifrare, ma che verosimilmente alludeva proprio ad una fase della tragedia successiva a quella dello scatenamento delle emozioni e che prevedeva un disinnesco dei loro effetti. Se ciò avvenisse effettivamente nelle tragedie del V secolo, se riguardasse piuttosto una prassi del secolo successivo, oppure se si tratti di un requisito normativo formulato dallo Stagirita a titolo meramente teorico, è questione su cui la discussione rimane aperta e probabilmente è destinata a rimanerlo per sempre.

Alcuni dei saggi riproposti hanno un taglio prettamente divulgativo, determinato dall’occasione o dalla collocazione editoriale. Mi riferisco, in particolare, a Le regole del giuoco scenico nell’Atene antica. Prime annotazioni (1985) e La poesia drammatica: i caratteri generali, il dramma satiresco, scritti il primo per un convegno di aggiornamento di docenti della scuola media superiore e il secondo come capitolo de Lo spazio letterario della Grecia antica (1992).11 Nello stesso raggruppamento rientrano le due voci Lo spettacolo e L’attore, pubblicate nel I volume dell’Introduzione alle culture antiche (1983).12 Anche in questo caso gran parte del materiale e delle considerazioni è confluito in maniera più organica nella successiva La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca,13 ma rileggendo quei contributi se ne possono apprezzare diversi pregi, a partire dall’attenzione costante che Lanza rivolgeva, parlando e scrivendo di teatro tragico, alla dimensione politica, filosofica e antropologica. Le sue analisi sull’evoluzione del teatro, sulla preistoria, protostoria e storia dei generi drammatici, sul ruolo della scrittura, sulla professione dell’attore nella Grecia classica e sulle forme specifiche della sua recitazione, hanno qualcosa di pioneristico e anticipano di parecchi anni l’affermarsi di approcci centrati sulle nozioni di ‘teatralità’ e ‘performance’.

Se la questione delle origini della tragedia si perde in una lontana ‘preistoria’, sì che risulta impossibile fare luce in modo chiaro e definitivo sul tema in base alle sporadiche e frammentarie testimonianze che possediamo, molto si può ricostruire a proposito della prassi teatrale del V secolo, di quelle “regole del gioco scenico” che investono il rapporto tra poeta e attore, quello tra scrittura e oralità, ma anche l’uso delle didascalie, il ruolo delle partiture musicali, gli oggetti di scena, le maschere, i costumi, i macchinari e la scenografia, la giuria e le modalità di finanziamento. Su tutti questi aspetti, che con una piccola forzatura potremmo definire di ‘cultura materiale’, Lanza ha indagato a fondo, ben consapevole del fatto che la loro conoscenza è una precondizione indispensabile per capire il senso della tragedia greca, cercando di superare i limiti posti dalla Poetica di Aristotele, unico trattato che si sia conservato sull’arte drammatica, ma datato al IV secolo e focalizzato su un approccio decisamente orientato sul versante testuale-letterario del teatro. Tra le tante osservazioni che si potrebbero esprimere a questo proposito, mi pare giusto indicare l’attenzione data alla figura dell’attore. Mentre l’attore comico è l’erede di una tradizione di spettacolo staccato da qualsiasi istituzione civile e non necessariamente legato a testi scritti, l’attore tragico nasce quando il poeta, al tempo stesso tragediografo e regista, decide di introdurre nella rappresentazione una seconda voce che risponda al coro. Lanza indaga in particolare lo statuto specifico dell’attore tragico evidenziando come ben presto egli emerga e si affermi sempre più quale figura di professionista a differenza del tragediografo e dei coreuti.

Gli studi di Lanza, segnati da un approccio mai assiomatico o dogmatico, ma sempre estremamente problematico, prestano costantemente attenzione alla cornice istituzionale e al contesto politico e sociale, il che non significa solo concepire il teatro ateniese come un fenomeno prettamente ‘politico’, saldamente ancorato nel cuore della città (con allusioni più o meno velate ai fatti politici della contemporaneità di allora), ma soprattutto, e più profondamente, mettere in rilievo le modalità di drammatizzazione del mito e l’interazione tra il materiale della tradizione e la sua intelligibilità da parte del pubblico. Fedele al principio per cui non c’è teatro senza pubblico, l’analisi s’interroga su come venivano percepiti gli spettacoli teatrali dagli spettatori dell’epoca per capire cosa rendeva uno spettacolo credibile, riconoscibile e persuasivo per quel pubblico in quel particolare momento.14 Per tale fine è importante conoscere il patrimonio di conoscenze e credenze condivise dal pubblico del quinto secolo, così come anche le pratiche rituali alle quali l’azione drammatica allude o che o mostra esplicitamente sulla scena. L’importanza riconosciuta al pubblico e alla sua ricezione della performance tragica, s’inserisce per altro in un discorso ancora più ampio che punta a ricostruire i codici di ascolto e gli orizzonti d’attesa, tanti differenti rispetto a quelli dell’epoca moderna e attuale.

Tutti i saggi della presente miscellanea si misurano con temi del teatro tragico attico, campo prediletto di ricerca, ma ce n’è uno che si stacca da quell’orizzonte storico e sul quale vale la pena di richiamare l’attenzione. Si intitola Lo spettacolo della parola: riflessioni sulla testualità drammatica di Seneca ed è la versione scritta di un intervento che Lanza pronunciò nel corso di un congresso dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico a Siracusa su Seneca e il teatro.15 Oltre a testimoniare la capacità da parte di Lanza di addentrarsi in un territorio non di sua diretta competenza, il saggio è importante giacché affronta le peculiari caratteristiche di una dimensione tragica in un contesto completamente differente rispetto a quello ateniese di V secolo.

Attraverso numerosi esempi tratti soprattutto dal Thyestes, dall’Oedipus e dalla Phaedra, si evidenzia come la spettacolarità di quelle opere, in assenza di una vera e propria rappresentazione davanti a un pubblico, del tipo di quella che aveva luogo nel teatro di Dioniso ad Atene, è interamente costruita sulla testualità e sul linguaggio. In mancanza di una scenografia, è la parola che si fa spettacolo: dai dialoghi, dai lunghi resoconti, dai canti corali e dalla presenza insistita di sentenze moraleggianti si generano immagini ‘spettacolari’, capaci di condensare il significato di intere scene e personaggi nei loro caratteri essenziali. Più che misurare il rapporto di vicinanza e distanza rispetto agli origi­nali greci, Lanza si concentra sugli aspetti compositivi, verbali e retorici, con i quali il teatro di Seneca riesce a rappresentare concretamente e suggestivamente i momenti topici più significativi della tradizione drammaturgica – in particolare la morte declinata nelle forme più varie e orribili – con un parossistico accumulo di elementi che ne definiscono la tensione drammatica e senza quel riequilibrio conclusivo che nei finali delle tragedie greche segnava un inversione della curva emotiva. Il teatro senechiano è letto in questa prospettiva come un modello che propone via via nel corso dell’azione un massimo di tensione conflittuale senza prevedere alcun meccanismo di compensazione: un modello che ha avuto, per altro, grande fortuna ispirando il teatro elisabettiano e non solo.

La raccolta dei saggi confluiti in questo volume consente al lettore di ritrovare, in una veste tipografica chiara e ordinata, testi che sono stati pubblicati su riviste e miscellanee non facilmente accessibili e di ripercorrere i sentieri delle ricerche compiute da Diego Lanza nei decenni della sua maturità di studioso. Corre l’obbligo di ringraziare i direttori delle riviste e i curatori dei volumi che si sono resi disponibili per la ristampa dei saggi, oltre ai famigliari e a Carmine Fiorillo della casa editrice «petite plaisance» per l’instancabile impegno nell’onorare la memoria di Lanza ristampandone gli scritti. Rimangono esclusi dalla presente miscellanea i saggi dedicati a Euripide, ristampati in Dramata I. Scritti sulla drammaturgia euripidea (petite plaisance, Pistoia 2023), e altri studi su temi tragici che Lanza aveva a suo tempo inserito come appendici nel volume Il tiranno e il suo pubblico (Einaudi, Torino 1977; rist. petite plaisance, Pistoia 2020) e in La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca (il Saggiatore, Milano 1997; rist. petite plaisance, Pistoia 2019).16 Nel volume Dramata IV, di prossima pubblicazione, saranno presentati i saggi ‘minori’ concernenti la Poetica di Aristotele.

1 Pubblicato in I Greci, a cura di S. Settis, vol. I Noi e i Greci, Einaudi, Torino 1996, pp. 469-504, cfr. infra, pp. 267-318. Citazione a p. 291.

2 Alla ricerca del tragico, in «Belfagor», 31, 1976, pp. 33-64, cfr. infra, pp. 17-59.

3 La «tragedia» e il «tragico», in «Quaderni di storia», 37, gennaio/giugno 1993, pp. 65-73, cfr. infra, pp. 173-183.

4 La tragedia e il tragico, in I Greci, a cura di S. Settis, vol. I Noi e i Greci, cit., pp. 469-504, cfr. infra, pp. 267-318.

5 La tragedia e il tragico, cfr. infra, p. 318.

6 Les temps de l’émotion tragique. Malaise et soulagement, in «Mètis. Anthropologie des mondes grecs anciens», 3, n. 1-2, 1988, pp. 15-39, cfr. infra, pp. 139-172.

7 I tempi dell’emozione tragica, in «Elenchos», 16, 1995, pp. 5-22, cfr. infra, pp. 225-243.

8 Pathos, in I Greci, a cura di S. Settis, vol. 2 Una storia greca, II Definizione, Einaudi, Torino 1997, pp. 1147-1155, cfr. infra, pp. 319-332.

9 De l’émotion tragique, aujourd’hui, in «Europe», janvier-février 1999, pp. 70-81, cfr. infra, p. 333-348.

10 il Saggiatore, Milano 1997; rist. Petite Plaisance, Pistoia 2019. Cfr. soprattutto pp. 187-219.

11 Le regole del giuoco scenico nell’Atene antica. Prime annotazioni, (1985) in Mondo classico: percorsi possibili, a cura del CIDI Roma e del CRS, Longo, Ravenna 1985, pp. 109-117, cfr. infra, pp. 109-121; La poesia drammatica: i caratteri generali, il dramma satiresco, in Lo spazio letterario della Grecia antica, a cura di G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza, vol. I La produzione e la circolazione del testo, t.1 La polis, Salerno, Roma 1992, pp. 279-300, cfr. infra, pp. 199-224.

12 Lo spettacolo, in Introduzione alle culture antiche, a cura di M. Vegetti, vol. I (Oralità scrittura spettacolo), Torino Boringhieri 1983, pp. 107-126, cfr. infra, pp. 61-88; L’attore, in Introduzione alle culture antiche, a cura di M. Vegetti, vol. I (Oralità scrittura spettacolo), cit., pp. 127-139, cfr. infra, pp. 89-108.

13 Op. cit., pp. 23-96.

14 Su questo aspetto cfr. anche il saggio uscito in lingua tedesca Glaubwürdigkeit auf der Bühne als gesellschaftliches Problem, in «Philologus», 135, 1991, pp. 97-104, cfr. infra, pp. 185-197.

15 Pubblicato in «Dioniso», 52, 1981, pp. 463-476, cfr. infra, pp. 387-403.

16 Per completezza li elenchiamo qui di seguito: Clitemestra, i cori dell’Elettra e la gnome (in Il tiranno e il suo pubblico, pp. 331-335), Tiresia sulla scena: l’indovino e il sacerdote (in Il tiranno e il suo pubblico, pp. 337-341); La paura di Edipo (in La disciplina dell’emozione, pp. 243-257), Edipo rivisitato da Sofocle (in La disciplina dell’emozione, pp. 259-279), Una ragazza, offerta in sacrificio ... (in La disciplina dell’emozione, pp. 281-301 e in Dramata, I. Scritti sulla drammaturgia euripidea, Petite Plaisance, Pistoia 2023, pp. 133-152), La donna nella tragedia greca (in La disciplina dell’emozione, pp. 303-319), Ridondanze del mito nella tragedia greca (in La disciplina dell’emozione, pp. 321-332), Finis tragoediae (in La disciplina dell’emozione, pp. 351-361).



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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