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Non il romanzo, bensì il racconto nella sua accezione più ampia memoria rapsodica dell’altro, apprensione di momenti di essere altrimenti perituri, resi inaccessibili dalla sommaria percezione del vivere oggi dominante può restituirci una dialettica dell’ascolto diciamo pure socratica. All’interno della quale diventa importante l’interpellanza di testimoni autorevoli del nostro tempo, capaci di sublimare la narrazione del vissuto, comico o tragico che sia, a metafora dell’universalmente umano. L’azione simultanea anziché l’azione parallela, per citare la celebre locuzione di Robert Musil, uno scrittore che le ha declinate entrambe con la stessa intensità progettuale, frequentando sia il romanzo sia il racconto. Istanze che, cinematograficamente parlando, e considerando qui la stagione del sonoro (1930-2024), corrispondono rispettivamente al lungo e al cortometraggio, speculari alle specifiche sensibilità dei cineasti in Microfiction 1, l’arco temporale va dai primi anni Trenta agli ultimi anni Ottanta del Novecento; in Microfiction 2, dagli anni Novanta a oggi. Duecento film programmatici, suggerisce il sottotitolo, e poco importa che la silloge ne annoveri anche qualcuno in più. Importa che essa sia esaustiva di un periodo storico e di una cifra espressiva, nel segno di una singolarità il corto sovente seminale di un regista celebre in cui sia già riconoscibile uno stile, un’inventiva personale che ne anticipa figurativamente il divenire, lo statuto, l’emblema.
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