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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 070

Luca Grecchi

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino.

ISBN 88-7588-092-1, 2005, pp. 176, formato 140x210 mm., € 15,00 – Collana “Il giogo” [4].

In copertina: Auguste Rodin, La Pensée. 1886, marmo, h. cm. 74. Musée d’Orsay.

indice - presentazione - autore - sintesi - invito alla lettura -

15,00

La filosofia è nella sua sostanza scienza dell’essere, nel suo scopo è felicità dell’esserci, nel suo metodo è dialogo. Sul dialogo di Luca Grecchi con Emanuele Severino si vorrebbe, quindi, inserire anche questa breve riflessione, in modo che dalla pluralità delle voci possa emergere almeno qualche frammento della verità del mondo. È un dialogo, quello di Grecchi, rigoroso, puntuale, critico, che intende porsi all’altezza del pensare dell’interlocutore. Non era facile, bisogna ammetterlo, ma l’intento è del tutto realizzato.
La capacità di arrivare al cuore del pensiero di Severino, e quindi al nucleo della sua forza come anche delle sue aporie, è testimoniata da molti passaggi del libro ma qui vorrei indicarne uno solo. È il momento in cui Grecchi coglie la parzialità della interpretazione di xe "Platone"Platone. Non è vero che –come sostiene Severino – «l’Occidente è la Repubblica di Platone» bensì piuttosto esso è «la Politica di xe "Aristotele"Aristotele». L’intera lettura severiniana della metafisica greca – e quindi europea- si fonda sulla imputazione di nichilismo rivolta alla distinzione platonica fra il significato esistenziale e quello copulativo dell’essere. Eppure senza tale distinzione il mondo diventa, semplicemente, incomprensibile: l’alterità – invece che l’opposizione – fra l’essere e il nulla, i molti modi in cui l’essere si dice, costituiscono due tentativi di cogliere la complessità dell’essere, proprio perché le sue espressioni, livelli e momenti si inscrivono tutti all’interno della vera, potente, inoltrepassabile struttura delle cose. Tale struttura è il Tempo. È quindi del tutto logico che Grecchi dedichi alla temporalità uno dei capitoli più densi del suo saggio. A partire dalle riflessioni di Massimo xe "Bontempelli M."Bontempelli, Grecchi coglie l’assoluta centralità della memoria nell’essere dell’uomo e del tempo nell’essere di ogni cosa.
Proseguendo questo dialogo, vorrei ricordare che xe "Platone"Platone non solo distingue ma collega anche strettamente il tempo-Cronos la dinamica che sostituisce gli enti con altri enti in un processo senza fine, e il tempo-Aion struttura immobile, perfetta, archetipica. È a questo tempo –alla eternità extratemporale di ogni cosa – che in fondo anche Severino sembra tornare quando afferma che «il divenire non può essere un divenir altro, il divenire è necessariamente il sopraggiungere degli eterni (cioè degli essenti) nel cerchio dell’apparire», tanto che «la “memoria” non conserva i barlumi del passato, ma lo mostra intatto, nel suo essere ciò che da sempre e per sempre esso è. L’apparire del risultato non è l’apparire del tempo, ma del sopraggiungere degli eterni».1 Se xe "Hegel G. W. F."Hegel aveva scritto che «die Zeit ist der Begriff selbst, der da ist»,2 xe "Heidegger M."Heidegger sostituisce al “Concetto” il Dasein, l’essere umano nella sua interezza, e scrive che «l’esserci, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo».3 Per Heidegger l’essere è il tempo; per Severino il tempo è nell’essere come sua eterna e insieme effimera parvenza. Ma la temporalità è il bastione insuperabile dell’essere per la morte e in tal modo l’interrogativo su che cosa sia il tempo si trasforma in quello su chi sia il tempo. Si comprende, a questo punto, perché Grecchi scriva che «l’uomo è il fondamento della verità dell’essere».
Le analisi condotte in questo libro confermano che il pensiero di Severino rappresenta un’apologia dell’immutabile presentata in nome di un ritorno a xe "Parmenide"Parmenide che si identifica con l’accusa di nichilismo rivolta all’intera filosofia. Un rigoroso eleatismo esclude il generarsi degli enti e il loro annullarsi, nega la nascita, la crescita e il morire di qualunque manifestazione dell’essere sia essa reale o fantastica, fisica o spirituale, concreta o astratta. Non dal nulla e verso il nulla vanno gli esseri ma dall’apparire allo sparire: la loro realtà, di tutti loro è eterna. In questo senso, neanche Parmenide avrebbe colto la necessaria immutabilità del tutto, poiché ha proclamato eterno l’essere, non le sue singole determinazioni: «ma per Parmenide l’essere non è le differenze che si presentano nell’apparire del mondo; le molteplici determinazioni manifeste sono tutte soltanto “nomi”. xe "Parmenide"Parmenide è insieme il primo responsabile del tramonto dell’essere».4
Due, invece, mi sembrano gli elementi più discutibili della lettura operata da Grecchi. In primo luogo un rinvio insistito all’inconscio della filosofia di Severino, ad un presunto timore rimosso della morte come spiegazione della sua negazione del nulla. Il secondo elemento è l’imputazione di ineffettualità politica – se non addirittura di complicità- di questa filosofia nei confronti delle condizioni storico-sociali del presente capitalistico, verso il quale le tesi di Severino sarebbero «indirettamente conservatrici». I due elementi si uniscono in una icastica espressione come la seguente: «Esso [l’apriorismo logico di Severino] per mio conto trae origine in una inconscia accettazione, da parte dell’autore, delle modalità sociali oggi dominanti». Si tratta di una critica debole perché sposta il dialogo dal piano teoretico a quello biografico-sociale e questa, in filosofia, è una fallacia la cui maggiore e quasi emblematica testimonianza è un’opera come La distruzione della ragione di xe "Lukács"Lukács. In ogni caso, ci troviamo di fronte non solo a un’ottima sintesi del complesso pensiero di Severino, ma a un testo che va al cuore della riflessione filosofica del Novecento e del nostro tempo (basterebbe scorrere i titoli dell’Indice per rendersene conto).
Ho tentato un dialogo fra i dialoganti di questo libro a partire da dimensioni e prospettive che sono e non possono che essere le mie, e quindi inevitabilmente parziali. Sta al lettore, ora, cominciare il suo, di dialogo.

 1 In AA. VV., Filosofia del Tempo, a cura di L. xe "Ruggiu L."Ruggiu, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 267-268.
 2 «Il tempo è il concetto medesimo che è là», xe "Hegel G. W. F."G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito (Phänomenologie des Geistes, 1807), trad. di E. de Negri, La Nuova Italia, Firenze 1985, vol. II, p. 298.
 3 M. xe "Heidegger M."Heidegger, Il concetto di tempo (Der Begriff der Zeit. Vortrag vor der Marburger Theologenschaft, 1924), a cura di F. xe "Volpi F."Volpi, Adelphi, Milano 1998, p. 40.
 4 E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 23.

Alberto Biuso


Introduzione

Emanuele Severino è senza dubbio uno dei filosofi contemporanei più importanti e conosciuti, nonostante il suo pensiero non rientri esplicitamente nei canoni oggi dominanti del relativismo. L’importanza dell’opera filosofica di Severino è da imputare pertanto sia alla rilevanza dei temi trattati (la verità, l’essere, il fondamento…), sia soprattutto alla coerenza ed alla originalità della sua impostazione, che si pone come scopo quello di ricostruire dalla base l’intero edificio filosofico.
Pur riconoscendo grande valore al pensiero di Emanuele Severino, ritengo non compiutamente veritativa la struttura teorica da lui delineata nella sua oramai cinquantennale attività. Per questo motivo il presente testo vuole porre in essere una analisi critica della sua opera, alla luce della struttura veritativa da me esposta ne L’anima umana come fondamento della verità.
Sarà bene dunque, data la minore notorietà della mia struttura, che io ne delinei qui almeno gli aspetti essenziali. La struttura veritativa dell’essere da me configurata si pone al termine di un processo che è al contempo di comprensione empirico-storica e di fondazione onto-assiologica dell’essere. Da tale processo risulta che l’anima umana è il fondamento della verità, ossia il riferimento veritativo della totalità dei significati umani. L’essere cioè è mostrato essere ciò che è, nella sua verità, in quanto l’uomo, nella sua verità, è ciò che è. Poiché l’uomo si struttura essenzialmente in termini razionali e morali, l’essere si struttura essenzialmente in termini ontologici ed assiologici. La verità dell’essere è pertanto la sua conformità alla natura razionale e morale dell’uomo. Questa, in estrema sintesi, la struttura sistematica da me delineata, in cui l’anima si pone come l’archè, il principio unificante del tutto, il fondamento che costituisce stabilmente ogni significato. Tale struttura filosofica risente fortemente del pensiero metafisico di xe "Platone"Platone, xe "Aristotele"Aristotele ed xe "Hegel G. W. F."Hegel, di cui – a mio avviso – rende esplicita l’intima verità.
La principale differenza con la struttura veritativa delineata da Emanuele Severino è che quest’ultima non è esplicitamente onto-assiologica, bensì essenzialmente logico-formale. Essa è cioè costituita da un apparato concettuale in cui l’uomo non ha una posizione veritativa fondante, bensì ha il medesimo ruolo di ogni altro ente. La verità dell’essere si basa infatti per Severino sull’unico assunto (necessario, ma non sufficiente) secondo cui l’essere è, e non può non essere.
La verità dell’essere è però permeata da una maggiore ricchezza di significati, che l’opera di Severino tende invece a sopprimere. Il motivo per cui essa opera tale soppressione è che al fondamento della stessa non sta l’uomo nella sua ricchezza (metafisica e simbolica)  di vita, bensì un uomo pensato al più come referente logico, privo di tutti quei contenuti che invece caratterizzano la vera umanità.
Per questo motivo, da un «fondamento» così esangue non può nascere alcuna struttura sistematica realmente in grado di dare con coerenza indicazioni per una sempre più necessaria progettualità politico-sociale. Questo, a mio avviso, il limite «fondamentale» del discorso di Severino.
Dalla arida fondazione logica del nostro autore deriva dunque secchezza veritativa. Derivano cioè, come sarà descritto nei prossimi capitoli, una concezione solo formale dell’essere, l’erronea critica alla metafisica di Platone, Aristotele ed Hegel, la fredda ed elusiva interpretazione del nichilismo e la sostanziale accettazione delle modalità sociali oggi dominanti, negatrici della fondamentale centralità e della necessaria cura che si devono all’anima umana (ossia negatrici della verità e del bene).
Il confronto comparato con le tesi espresse ne L’anima umana come fondamento della verità – che trovano qui l’occasione per un approfondimento – mostrerà invece la necessaria struttura onto-assiologica dell’essere, l’implicita verità della metafisica di xe "Platone"Platone, xe "Aristotele"Aristotele ed Hegel, una meno elusiva interpretazione del nichilismo e la necessità di rifiutare le modalità sociali capitalistiche.
Ho voluto, in questa introduzione, soprattutto rimarcare le differenze che mi dividono dal pensiero di Severino. Ciò nonostante, non è corretto essere eccessivamente critici nei riguardi di un pensatore che, a tutt’oggi, rimane insuperato nella capacità di analisi della storia del pensiero filosofico e delle modalità sociali del nostro tempo. Il confronto con l’opera di Severino ha costituito una occasione unica per migliorare ed ampliare la mia comprensione dell’essere, ossia per realizzare quel fine cui ogni filosofo, piccolo o grande che sia, deve porsi. Tale fine è da sempre centrale nell’opera di Emanuele Severino, verso cui la filosofia deve, a mio avviso, riconoscere un enorme debito.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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