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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 109

Giovanni Casertano

La nascita della filosofia vista dai Greci. Con in Appendice: Può ancora Talete essere considerato il «primo filosofo»?

ISBN 88-7588-013-1, 2007, pp. 144, formato 140x210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [17].

In copertina: Trono Ludovisi. «La nascita di Venere». Rilievo centrale. Marmo. 460-450 a. C. circa. Museo Nazionale Romano.

indice - presentazione - autore - sintesi

15,00

Anche nella storiografia filosofica, e quindi anche nella storiografia sull’antico, ci sono le mode. Ci sono, è vero, alcuni autori (esempio facile: xe "Platone"Platone, xe "Aristotele"Aristotele...) sui quali, e fin dal loro tempo, non si sono mai interrotte le ricerche, le problematizzazioni, le messe a punto, le revisioni, ma ci sono anche alcuni autori ed alcune tematiche che hanno conosciuto, nell’interesse degli storici, invece che un andamento continuo, un andamento ondilineo, e quindi con creste e gole. Ciò significa che gli studi su questi ultimi sono il semplice effetto di quelle mode? A volte sì e a volte no; il più delle volte no. E infatti poi, passato un certo tempo, essi ritornano alla ribalta, vengono ripresi e portati avanti in nuovi orizzonti e in nuove prospettive (ed a volte rimangono nel mirino degli storiografi, altre volte scompaiono ancora).
Un problema che appassionò molti studiosi dell’antico e fu molto dibattuto nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento fu quello della “nascita della filosofia”. Era un problema complesso, perché interessava varie angolature e varie tematiche: se la filosofia è nata, in cosa si distingueva da altre forme di cultura, o meglio di culture ad essa precedenti e contemporanee; se è nata in Grecia oppure nell’Oriente antico; quando e con chi è nata; perché è nata. Problemi, come si vede subito, che per essere sviscerati esigevano competenze diverse e complementari, come la filosofia, certo, ma anche la letteratura, e non solo quella greca, ma anche, almeno, quella egiziana e quelle mesopotamiche, le arti visive, l’archeologia. Problemi, insomma, che per essere affrontati e discussi avrebbero avuto bisogno di un impegno autenticamente e non superficialmente interdisciplinare. Impegno che, credo ancora oggi, o non vi fu o fu scarsamente perseguito. Ma credo di poter dire ancora un’altra cosa: in quei lavori di trent’anni fa, alcuni dei quali indubbiamente eccellenti, mancava una prospettiva a mio avviso essenziale, quella dei diretti interessati, cioè quella dei Greci. Cioè, ammesso dai più che la filosofia era nata in Grecia, e quindi che i primi veri filosofi furono i Greci, non si era tenuto conto di ciò che i Greci stessi avessero pensato della loro “filosofia”; e ammesso che i rapporti culturali di quei primi “filosofi” greci con le culture orientali fossero stati certamente rilevanti, che cosa pensavano i Greci stessi di questo loro “debito” con l’Oriente.
Questi furono i due interrogativi principali che mi posi trent’anni fa. Ed il lavoro che ne risultò fu un tentativo non tanto di rispondervi esaurientemente, quanto di aprire una via di ricerca importante ma poco battuta. Se lo ripropongo oggi, così come apparve, è perché credo, innanzi tutto, che quel problema sia ancora vitale per chi si svolge indagini di storia della filosofia, e di storia della filosofia antica, ma anche perché la prospettiva e le problematiche entro le quali esso si collocava potrebbero essere ancora feconde di nuove ricerche e di nuovi risultati, non inutili alla coscienza storiografica dell’oggi. In appendice, con lo studio su “Talete primo filosofo”,* propongo invece un primo tentativo di saggiare nel concreto quella metodologia e quell’orizzonte ermeneutico che nel libro avevo seguito ed inseguito. Come trent’anni fa, ancora una proposta e non soluzioni definitive.
Debbo infine ringraziare l’Editore, ed in particolare Luca xe "Grecchi L."Grecchi, per l’occasione che mi hanno gentilmente offerto. E, come trent’anni fa, dedico questo lavoro purtroppo non più ai miei genitori, ma alla loro memoria.

Anche nella storiografia filosofica, e quindi anche nella storiografia sull’antico, ci sono le mode. Ci sono, è vero, alcuni autori (esempio facile: xe "Platone"Platone, xe "Aristotele"Aristotele...) sui quali, e fin dal loro tempo, non si sono mai interrotte le ricerche, le problematizzazioni, le messe a punto, le revisioni, ma ci sono anche alcuni autori ed alcune tematiche che hanno conosciuto, nell’interesse degli storici, invece che un andamento continuo, un andamento ondilineo, e quindi con creste e gole. Ciò significa che gli studi su questi ultimi sono il semplice effetto di quelle mode? A volte sì e a volte no; il più delle volte no. E infatti poi, passato un certo tempo, essi ritornano alla ribalta, vengono ripresi e portati avanti in nuovi orizzonti e in nuove prospettive (ed a volte rimangono nel mirino degli storiografi, altre volte scompaiono ancora).
Un problema che appassionò molti studiosi dell’antico e fu molto dibattuto nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento fu quello della “nascita della filosofia”. Era un problema complesso, perché interessava varie angolature e varie tematiche: se la filosofia è nata, in cosa si distingueva da altre forme di cultura, o meglio di culture ad essa precedenti e contemporanee; se è nata in Grecia oppure nell’Oriente antico; quando e con chi è nata; perché è nata. Problemi, come si vede subito, che per essere sviscerati esigevano competenze diverse e complementari, come la filosofia, certo, ma anche la letteratura, e non solo quella greca, ma anche, almeno, quella egiziana e quelle mesopotamiche, le arti visive, l’archeologia. Problemi, insomma, che per essere affrontati e discussi avrebbero avuto bisogno di un impegno autenticamente e non superficialmente interdisciplinare. Impegno che, credo ancora oggi, o non vi fu o fu scarsamente perseguito. Ma credo di poter dire ancora un’altra cosa: in quei lavori di trent’anni fa, alcuni dei quali indubbiamente eccellenti, mancava una prospettiva a mio avviso essenziale, quella dei diretti interessati, cioè quella dei Greci. Cioè, ammesso dai più che la filosofia era nata in Grecia, e quindi che i primi veri filosofi furono i Greci, non si era tenuto conto di ciò che i Greci stessi avessero pensato della loro “filosofia”; e ammesso che i rapporti culturali di quei primi “filosofi” greci con le culture orientali fossero stati certamente rilevanti, che cosa pensavano i Greci stessi di questo loro “debito” con l’Oriente.
Questi furono i due interrogativi principali che mi posi trent’anni fa. Ed il lavoro che ne risultò fu un tentativo non tanto di rispondervi esaurientemente, quanto di aprire una via di ricerca importante ma poco battuta. Se lo ripropongo oggi, così come apparve, è perché credo, innanzi tutto, che quel problema sia ancora vitale per chi si svolge indagini di storia della filosofia, e di storia della filosofia antica, ma anche perché la prospettiva e le problematiche entro le quali esso si collocava potrebbero essere ancora feconde di nuove ricerche e di nuovi risultati, non inutili alla coscienza storiografica dell’oggi. In appendice, con lo studio su “Talete primo filosofo”,* propongo invece un primo tentativo di saggiare nel concreto quella metodologia e quell’orizzonte ermeneutico che nel libro avevo seguito ed inseguito. Come trent’anni fa, ancora una proposta e non soluzioni definitive.
Debbo infine ringraziare l’Editore, ed in particolare Luca xe "Grecchi L."Grecchi, per l’occasione che mi hanno gentilmente offerto. E, come trent’anni fa, dedico questo lavoro purtroppo non più ai miei genitori, ma alla loro memoria.

Questo lavoro è nato dall’esigenza di sottolineare un aspetto del problema della “nascita della filosofia” e delle “origini o fonti orientali” della filosofia greca. Se è vero, come noi crediamo, che non si può pretendere di capire il presente – e tanto meno il futuro – se non si capisce ed assimila il passato, e se è vero, come anche crediamo, che quest’opera di riflessione e di assimilazione non è mai un’opera compiuta, che raggiunge risultati definitivi, perché in ultima analisi è un’opera che affonda le sue radici in esigenze sociali e individuali che cambiano continuamente, in un “tempo presente” che continuamente impegna l’uomo a trarre nuove lezioni da quel mondo opaco che è il suo passato, ad illuminarlo di nuove luci per poter più consapevolmente proiettarsi nel “suo” futuro; se tutto questo è vero, non ci sembra inutile, ancora oggi, una rimeditazione sul senso e sulle prospettive della filosofia.
Oggi si parla di “morte della filosofia”, e se ne parla in sensi molto diversi; si va – attraverso varie sfumature ed accentuazioni – da posizioni che riprendono certi accenni e spunti di xe "Marx K."Marx e di xe "Engels F."Engels a posizioni che ripropongono certe vecchie contrapposizioni tra sapere mondano-diabolico-filosofico e sapere spirituale-divino-religioso. Noi non vogliamo entrare qui in questa disputa; ma nemmeno vogliamo fare una difesa della “categoria” filosofia, esaltandone il suo eterno valore nel campo teoretico-conoscitivo o in quello pratico-morale. Vogliamo soltanto osservare che se la filosofia è morta o è destinata a morire, essa deve essere pure in un certo tempo e da certi genitori nata: anche in questa prospettiva ci sembra quindi legittima una ricerca in tal senso. E nell’ambito del nostro discorso, pur se non li richiamiamo direttamente (ma sono fatti a bella posta), molti sono i raffronti, i richiami, le analogie, le allusioni – polemiche o no – a posizioni culturali, a tesi, a dottrine, a dibattiti dell’oggi: non sarà difficile per il lettore scoprirli. Crediamo, in altre parole, che qualsiasi fatto, qualsiasi evento vada storicizzato, cioè considerato e analizzato storicamente: non è tanto importante lo spiegare e il dimostrare semplicemente – razionalmente – che la filosofia muore, nel XX secolo dopo Cristo, dopo esser nata nel V secolo avanti Cristo, quanto il mostrare come e perché, con quali caratteristiche e con quali motivazioni, in base a quali esigenze e a quali finalità, all’interno di quell’irreversibile processo dinamico-temporale che è la realtà nella sua totalità, si è potuto parlare e si parla della nascita o della morte della filosofia.
Tuttavia, il nostro saggio non è una risposta a queste esigenze, e non soltanto perché si pone il problema della nascita e non quello della morte. Diciamo che è una preparazione a certe risposte. La lettura del passato avviene sempre – e, non può non avvenire – attraverso certi occhiali che non ci è dato mai, tanto fanno parte di noi stessi, toglierci dal naso; ciò nonostante crediamo sia doveroso – e possibile – spogliarci di quell’ottica che oggi comincia finalmente ad esser considerata poco credibile e che consiste, per usare un’espressione di xe "Bernhardt J."Jean Bernhardt, in una «lettura all’indietro della storia». Questo tipo di lettura, che non a caso è stata tanto usata da una certa storiografia storicistico-idealistica, vede dovunque “precursori” e filosofie del “non ancora” e comunque un “processo”, in positivo o in negativo, che ineluttabilmente porta all’oggi. Cioè porta alla propria “filosofia”, soltanto a partire dalla quale è possibile ripercorrere retrospettivamente e veritieramente il passato e collocare ogni cosa – ogni dottrina, ogni teoria, ogni filosofo – nella sua giusta casella. Ma è possibile, allora, pur rimanendo in tutto e per tutto uomini del nostro tempo, evitare questo scoglio? Crediamo di sì; e crediamo che l’unica via sia quella di un contatto diretto con le fonti. Non alla maniera heideggeriana, si badi, nella quale l’“oggi” e il “proprio” finiscono per soffocare, pur mentre dichiarano di volerla esaltare, l’autenticità, delle fonti dell’ieri e dell’altro; bensì attraverso una rilettura dei documenti da un lato diretta e immediata, dall’altro storica nel senso più pieno del termine, e cioè cosciente delle molte mediazioni e dei vari piani attraverso i quali deve muoversi l’indagine storiografica per cogliere nella massima possibile “verità” il fatto, il documento, il personaggio. Questo tipo di riconsiderazione e di rimeditazione del passato consente, se non altro (e specialmente quando andiamo ad esaminare fatti tanto complessi quali quello, appunto, della nascita di quel fenomeno culturale che chiamiamo filosofia), di evitare due pericoli. Da un lato, quello, cui abbiamo accennato, di trasferire nel passato tematiche e problematiche che del passato non erano, ma appartengono al presente o ad epoche diverse da quella che prendiamo in esame, cadendo così in una sorta di “anacronismo” che non è tanto di date, di tempi o di fatti, quanto di impostazioni culturali e di atteggiamenti mentali; dall’altro, quello di schematizzare e semplificare – sotto la spinta del bisogno, pur legittimo, di individuare e caratterizzare gli elementi specifici di una situazione culturale – una realtà che si dimostra sempre molto più complessa delle nostre ricostruzioni. Naturalmente, non è agevole assolvere un tale compito. Crediamo anzi che possa esser assolto soltanto da un’indagine che sia autenticamente e non epidermicamente interdisciplinare. Ecco perché abbiamo detto che in fondo questo nostro lavoro non presenta risposte, ma solo prepara a certe risposte. Anche in relazione, cioè, al problema particolare che ci eravamo proposto (la nascita della filosofia e il rapporto della filosofia greca con le culture orientali) abbiamo dovuto operare una scelta di prospettiva e ci siamo posti delle limitazioni. La scelta è stata quella di affrontare il problema dal punto di vista, diciamo così, dei Greci: visto che tutta la storiografia sulla nascita della filosofia si muove grosso modo intorno a un certo secolo ed intorno a certe dottrine – per dare una risposta positiva o negativa al problema, non conta dal nostro punto di vista – ci siamo chiesti cosa pensassero dell’argomento gli stessi personaggi cui essa si riferiva. Naturalmente, e in parte anche, per lo stato delle stesse fonti prese in esame, dal VI al IV secolo a.C., mentre per alcune dottrine il discorso è stato più ampio, per altre si son fatti solo degli accenni. Le limitazioni, invece, riguardano il materiale preso in esame; specialmente per quanto riguarda il rapporto con le culture orientali, ci siamo fermati ad alcuni “sondaggi”: per il V secolo a.C. ad xe "Erodoto di Alicarnasso"Erodoto e xe "Tucidite"Tucidide, per il IV a xe "Platone"Platone ed xe "Aristotele"Aristotele, per il I a xe "Diodoro Siculo"Diodoro, per il I secolo d.C. a xe "Plutarco"Plutarco, per il II-III a xe "Clemente Alessandrino"Clemente e xe "Numenio d’Apamea"Numenio. Semplici sondaggi, come si vede, ma, almeno speriamo, abbastanza significativi. Siamo quindi perfettamente convinti che il discorso non è completo e dovrebbe essere approfondito – e anche soltanto nell’ambito del taglio che vi abbiamo dato –; così come siamo convinti che le stesse conclusioni cui siamo pervenuti debbano essere considerate piuttosto aperte e problematiche, come del resto ci siamo sforzati di presentarle, che risolutrici e definitive. Contiamo, comunque, di riprendere il discorso. Confidiamo, però, che esso non risulti inutile; se non altro, come invito a tener presente e nella considerazione che merita (nel dibattito storiografico sulle origini della filosofia) una prospettiva non secondaria e non sottovalutabile: e cioè la coscienza che ebbero di se stessi i “filosofi” di cui noi oggi parliamo.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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