Editrice Petite Plaisance

Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
HOME RECENTI CATALOGO E-BOOKS AUTORI KOINE' BLOG PERCHE' CONTATTI




Cat.n. 015

Amedeo Anelli

(a cura di), Novanta. Verso un’arte di pensiero [Scritti di: Edgardo AbbozzoGiovanni BaiSauro Cardinali Alberto CavalieriAndrea Cesari - Franco De BernardiFernanda FediGino GiniStaffan Nihén Claudio RosiFabio ScatoliManuela TrainiWilliam Xerra].

ISBN 88-87296-36-7, 1999, pp. 96, formato 140x210 mm., Euro 12,00– Collana “Egeria” [3].

In copertina: Giordano Bruno, De Triplice Minimo, Diagramma ermetico.

indice - presentazione - autore - sintesi

12,00

Introduzione al volume

 

Vengono qui raccolti, in forma paradigmatica, scritti di varia estensione, densità ed occasione, editi ed inediti, che seguono il formarsi, in questi anni Novanta, anche nelle arti visive, di un’Arte di pensiero per percorsi non sempre piani, e nella molteplicità e rilevanza delle tradizioni che risuonano in artisti di varia provenienza.

Si sa che il Novecento si è posto anche come estremo limite di un progetto di modernità di ascendenza romantica. Si son portate a compimento ed a dissignificazione polarizzazioni fra poetiche del soggetto e poetiche dell’oggetto, scissioni fra natura e cultura, fra immediatezza corporea dell’arte e mediazione (vista anche come una ideografia senza fondamento corporeo) fra corpo dell’arte e teoria. Ciò è avvenuto attraverso avanguardie storiche, ritorni all’ordine e nuove avanguardie, frammentazioni e molteplicità di tradizioni da oriente ad occidente, Tradizione di modernità come unica percorribile fino a controprassi, autonomia ed eteronomia delle arti.

Significative quelle che potremmo chiamare le conseguenze controprassistiche dei tentativi di fare arte da “effetti” di teoria, siano le teorie di suggestione linguistica (secondo la svolta della filosofia e della cultura primonovecentesca) o di altre scienze della natura, o da effetti di letteralizzazione o d’altro di scienze fisico-matematiche con riduzioni dell’arte a “puro” concetto, a pseudoconcettualità: a nulla, sul limite del nulla.

Abbiamo assistito ad una reversibilità assoluta a tutto e al contrario di tutto lungo l’asse di uno scambio e trasparenza che si vuole anch’essa assoluta e senza residui. Siamo stati testimoni di una epigonalità diffusa spacciata per post-modernità, di una progressiva dissignificazione degli statuti delle arti e delle tradizioni artistiche, di una patologia dell’artistico, di un’arte patologica. Ed ancora, abbiamo visto – in reazione – un tentativo di espungere dall’arte alcune tradizioni facendole confluire nell’unica, come dicevamo, tradizione del moderno (di cui il post-storicismo post-moderno sarebbe logica conseguenza) e, dall’altro canto, di togliere dall’arte visiva tutto ciò che non fosse pittura pittura, scultura scultura. Tutto ciò che è avvenuto dopo le avanguardie storiche: dopo Duchamp.

 

Un’arte di pensiero si propone allora nella molteplicità delle tradizioni e dei loro alvei, una rivendicazione di fondamenti corporei delle stesse, dai corpi propri nella loro interezza preriflessiva e riflessiva, ad un maturato progettuale che inglobi in sé una approfondita idea d’arte e di mondo, un’arte fatta mondo.

 

I tentativi pur fatti nel Novecento di una via “estetica” all’etica, di una priorità dell’estetico sull’etico, di una estetizzazione dell’arte e della vita (altra romantica scissione densa di conseguenze, di duplicazioni speculari e di reciproci inganni e dissignificazioni), ripropongono una co-naturalità dei due momenti dove scelta estetica è sempre scelta etica e viceversa. Specie dopo la maturata scissione fra esteticità come idea di Bellezza con l’apparato onto-teologico che comporta, ed artisticità che può prescindere da tale idea, o dopo lo spostamento da un’etica dei valori all’etica della comunicazione ed ad altro, o dopo la priorità del politico e dell’economico sull’artistico e via così.

 

Progetto d’arte progetto di mondo anche nell’opacità delle tradizioni, delle vie, delle determinazioni e dell’indeterminato, in un mondo non fatto schema, lettera.

Per una reale comunicazione come messa in comune corporea, come dialogo; far dialogare tradizioni nella multiaccentuatività delle stesse e delle loro possibilità, connotazioni e risultanze contro ogni “imperialistica” pseudouniversalità, per una universalità nella complessità e nelle differenze.

 

Si è deciso di suddividere il volume in due parti: Tracce e Figure.

 

La prima include brevi interventi sui temi della menzogna nelle arti visive e di un possibile rapporto fra scultura e poesia, che si affiancano a talune riflessioni fatte altrove su problemi di carattere generale, “incarnati” esemplarmente, a mio parere, da alcuni autori (trattati nella seconda parte). Per l’esattezza: la temporalità dell’arte (Abbozzo, Nihlén), il rapporto fra simbolo ed allegoria (Abbozzo, Cardinali), i problemi del segno (Xerra, Cesari, Cavalieri, Bai, Scatoli), della luce (De Bernardi, Nihlén, Abbozzo), del ritmo (Traini, Cavalieri, Campi), della rappresentazione (Rosi, Cardinali, Gini, Fedi), e via così.

La seconda sezione, quindi, include brevi incursioni su autori che già pienamente si muovono lungo tradizioni europee di un’arte di pensiero, secondo le direttrici sopra delineate o che con queste hanno un fruttuoso dialogo. Nessuna indagine che ci riguardi può ormai aver senso fuori da una ricognizione sulle tradizioni dell’Europa – nel confronto e nel dialogo interno – e di quelle di altre culture extraeuropee.

 

Si è tentato nell’analisi delle opere e degli autori di far emergere gli specifici di appartenenza e, nel contempo, di sviluppare tematiche di carattere teoretico implicite nel loro operare, contribuendo così a quel taglio paradigmatico di cui si accennava all’inizio ed alla riunificazione delle due sezioni.

 

Un particolare ringraziamento agli artisti citati per la loro feconda disponibilità e a Daniela Marcheschi e Daniela Cremona secondo formula: senza le quali questo lavoro non sarebbe stato realizzato.

 

Amedeo Anelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edgardo Abbozzo

Nato a Perugia nel 1937, fra i maggiori artisti italiani ad occuparsi del rapporto arte-alchimia che lo porta, nel 1986, alla partecipazione all’omonima Biennale Internazionale d’Arte di Venezia (XLII) nella sezione curata da Arturo Schwarz e ad esporre in personali e collettive nei maggiori centri d’Europa, d’America e del Giappone. Formatosi nel contatto e nell’amicizia con esponenti del mondo artistico romano e perugino quali Roberto Melli e Corrado Cagli, il futurista Gerardo Dottori e Dante Filippucci, negli anni Cinquanta fu forte l’amore per la lezione di Paul Klee, di Picasso, di Capogrossi, di Jackson Pollock e il peso del clima informale che influenzarono la sua prima formazione, accanto alla curiosità per le tecniche artigianali e per la ceramica mai abbandonata. Negli anni Sessanta la precoce attività didattica (nel 1962 assume a soli venticinque anni la direzione dell’Istituto d’Arte di Deruta, dirigerà poi l’Istituto d’Arte e il corso superiore di disegno industriale di Firenze, poi l’Accademia di Belle Arti di Carrara, poi quella di Perugia che tuttora dirige; inoltre dal 1976 al 1985 è Consigliere Nazionale al Ministero della Pubblica Istruzione) lo porta in contatto con Martin Krampen e con esponenti della scuola di Ulm. Nello stesso periodo inoltre partecipa alla Triennale di Milano, espone a Buenos Aires e a Berlino ed entra in relazione con maestri quali Lucio Fontana, Osvaldo Calò, Edgardo Mannucci che, con le presenze critiche di Carlo Giulio Argan, Italo Tomassoni, Nello Ponente, Giuseppe Gatt, Giancarlo Politi, suscitano una puntuale riflessione sulla propria posizione e sulle tensioni in corso. L’opera indaga in quegli anni la tematica delle forze elementari e totemiche e del segno. Nei lavori degli anni Settanta compaiono precise citazioni del patrimonio iconografico dell’alchimia e un fruttuoso dialogo con le tecniche industriali. Della metà degli anni Settanta sono i primi marmi e la collaborazione in campo didattico, fra gli altri, con personaggi quali Munari, Umbro Apollonio, Coppola e Fabro affiancati da personalità artistiche come Antonio Calderara e Getullio Alviani. Nel frattempo si fanno dominanti le ricerche sui temi della luce e dell’ombra, della temporalità dell’allegoria, della prospettiva, della scrittura e del disegno di luce della fine degli anni Ottanta dopo i lavori sulle pietre monocrome sono gli acquerelli a luce Wood, le Macchine e le Bilance, le sculture con i laser (si intensifica l’amicizia con Vittorio Fagone e si approfondisce l’indagine sul rapporto Arte e Scienza) che gli permetterà il ritorno negli anni Novanta ai temi della figura della prospettiva, della geometria. Negli anni Novanta parallelamente elabora una intensa attività riflessiva che sfocia in una mirata produzione letteraria di Aforismi (pubblicati in «Kamen’», «Concertino»..., e di prossima edizione in volume). Numerosa l’attività espositiva e didattica che lo hanno portato in questi anni in Francia, Spagna, Germania, Stati Uniti, Cina... Numerose le pubblicazioni di cataloghi e libri d’arte e d’artista.

 

Giovanni Bai

è nato a Milano nel 1952. Sociologo e videopittore, si occupa dei problemi della comunicazione sia tradizionale che elettronica, della manipolazione dell’immagine e della possibilità/impossibilita di comunicare. Nel 1990 ha fondato con Teo Telloli MUSEO TEO, un museo senza sede e senza opere, una istituzione atipica per la diffusione dell’arte contemporanea fuori dagli spazi consueti, che organizza mostre di un solo giorno e pubblica MUSEO TEO art fanzine, la rivista dei fans dell’arte, una pubblicazione aperiodica alternativa giunta ormai all’ undicesimo numero. Ha sempre inteso la pratica artistica come momento di riflessione sull’arte e sui problemi della società, ne è prova la sua attività di scrittore ed editore; ma anche come momento ludico, evidenziato dall’attività di performer e di organizzatore di eventi. Dopo l’attività di muralista della prima metà degli anni Settanta, inizia a manipolare la fotografia – parallelamente agli interventi a Radio Canale 96 –  e dal 1984, che è anche l’anno del primo soggiorno in Giappone, si dedica prevalentemente alla ricerca sulle possibilità creative del mezzo televisivo utilizzando il minimo della tecnologia possibile, mettendo a punto la tecnica dalla video pittura. La ricerca sull’uso dell’immagine elettronica si è articolata in fasi differenti, sfruttando le interferenze e le loro amplificazioni per alterare l’immagine reale, oppure gli effetti di rifrazione per creare immagini completamente nuove, o usando la luce come informazione pura, che permette di immaginare tutte le realtà possibili. Più recentemente ha enfatizzato la fase di sintonizzazione di un televisore in cui l’immagine definita è assente, ma si evidenziano soltanto trame e griglie, e i numeri gialli che indicano la lunghezza d’onda: sono immagini ancora più effimere delle normali immagini televisive, sono l’essenza stessa della virtualità in quanto ognuna di esse racchiude tutte le altre possibili. E infine, dopo aver manipolato le immagini mediante l’interferenza, e dopo aver amplificato l’interferenza è arrivato alla fase della manipolazione dell’interferenza stessa. Nella sua attività di critico e giornalista ha collaborato con testate differenti: Radio Canale 96, Video Magazine, Gran Bazaar, Graphicus, Rakam, Brava, La mia casa, Area, Opening, Athanor, Reactors. Art Mobil. È stato corrispondente della rivista giapponese Shin Biyo. Nel 1996 ha pubblicato Manuale per il giovane arista per la collana Mille lire Stampa Alternativa. Mostre personali e collettive si sono svolte in Europa ed in Giappone. Su di lui cfr. almeno Vittorio Fagone L’immagine video, Feltrinelli, 1990.

 

Sauro Cardinali

è nato a Spina (Perugia) nel maggio 1951. Nel 1976 ha fondato insieme a Massimo Barcaccia, Paola Marzialetti, Carmelo Soldani e Primetta Vecchietti, il gruppo “Cronotopo” che, attivo fino al 1980, ha realizzato diversi interventi sull’ambiente e nel territorio urbano nella provincia di Perugia. Contemporaneamente alla sua attività didattica – ha insegnato tecniche dell’incisione nelle Accademie di Belle Arti di Carrara, Bologna e Roma e pittura ora in quella di Perugia –, si sviluppa una sorvegliata attività espositiva, come riflessiva e sorvegliata è tutta l’attività dell’artista che, spostandosi fra ricerca oggettuale come ricerca di senso e di necessità, e i segreti della superficie pittorica nel rapporto fra visibilità e non visibilità, fra intenzione e interdizione, tra noluntas e meccanismo, fra scrittura e pittura, procede lungo tensioni, politecnie, e differenti tematizzazioni ed umori quali quelli sfociati in “L’enigma della simmetria” (1988), Fontane (1990), e negli anni successivi nelle Tarsie, sino ai “rotoli” carta e inchiostro, che dal 1993 costituiscono un’opera complessa in cui parola, visione, interiorità e interdetto, singolarità e composizione (diremmo “contrappuntistica”) si fondono in una ricerca complessa. Tra i numerosi cataloghi e monografie ricordiamo quella curata da Viviana Gravano, con testi di Francesco Poli e Enrico Crispolti per Mazzotta (1991), ricognizione dell’opera prima dell’Autore. Cfr. anche La pittura in Italia. Il Novecento/2, vol II, Electa 1993.

 

Alberto Cavalieri

Nato nel 1927 a Rivarolo Ligure. Negli anni Cinquanta sono preminenti gli interessi figurativi ma già fortemente calligrafici che lo portano a valorizzare oltre il paesaggio negli anni Sessanta particolari di corpi. L’inizio della ricerca attuale sul segno in una prospettiva di ispirazione “concretista e costruttivista” risale al 1975, quando nascono la prima pittura segnica, i primi acrilici e in seguito le tecniche miste. È del 1984 l’inizio della collaborazione con Carlo Belloli, con la Galleria Arte Struktura di Milano e con altre di tale indirizzo. Dello stesso anno l’invito al Paris Art Center con una mostra curata da Denise René “aventure géométrique et cinétique” con interventi critici di Denise René, Giulio Carlo Argan, Dore Ashton, Gilles Plazy. L’attività espositiva si espande a livello internazionale con mostre anche di Mail-Art, in Yugoslavia, Austria, Belgio, Olanda, Germania, Svezia, etc. Fra le sue numerose pubblicazioni si ricordano libri d’arte quale quello in collaborazione con il poeta e critico Giuliano Gramigna con poesie e xilografie, Milano/Zagabria, 1978 e su di lui la recente monografia di Alberto Veca, Alberto Cavalieri, Principi dell’armonia in occasione della mostra alla Galleria Vismara di Milano nel 1996.

 

 

Andrea Cesari

è nato nel 1950 a Codogno; attivo nell’ambito della grafica e della didattica. Nel 1979 ha iniziato la sua attività artistica nell’ambito della tradizione figurativa approfondendo ricerche grafiche nell’ambito della xilografia, dell’acquaforte, dell’acquatinta, in seguito questa tradizione verrà abbandonata per uno spiccato interesse per lavori in cui vengono utilizzati tessuti monocromi o policromi con risonanze materiche-texture, superfici assorbenti o riflettenti. Il campo grafico non verrà abbandonato ma il suo lavoro si sposta verso il non figurativo con politecnie e ricerche più in consonanza con quelle in tessuto. Nel 1981 ha frequentato i Corsi Internazionali di Xilografia presso l’Istituto D’Arte di Urbino e nel 1985 ha terminato quelli di Progettazione Grafica presso l’Istituto Superiore Industrie Artistiche (ISIA) sempre di Urbino.

Inizia nel contempo lavori di interazione fra architettura e arredo urbano, con progetti che prendono in considerazione lo spazio tridimensionale o bidimensionale dell’ambiente e dell’ambientazione, dove l’uso e la modulazione del colore permettano un rapporto dinamico e visivamente intrigante con l’architettura, la materia, la luce e lo spazio.

Tali lavori iniziati sotto la guida di Michele Provinciali ad Urbino “Il colore nella realtà dell’ambiente urbano” (1983) hanno avuto sviluppo nel corso degli anni portando alla realizzazione di “Colore nella città” Loggia Comunale Codogno (1986). Per quanto riguarda i lavori in tessuto ha partecipato fra l’altro alla Tredicesima Biennale della Tapisserie di Losanna (1986).

 

 

Franco De Bernardi

La ricerca dell’artista si è mossa alla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta nell’ambito di una figurazione attenta alle qualità del paesaggio. In seguito si è spostata da un lato verso l’astrazione, dall’altro sulle qualità formali del ritratto e ciò fino agli ultimi anni Settanta. Negli anni Ottanta l’astrazione si fa attenta alla materialità ed al valore pittorico dei materiali. Nascono i primi collage con uso contemporaneo di carta e di colore; tale tecnica viene utilizzata sino ai primi anni Novanta. Ai giorni nostri è prioritario lo studio del rapporto fra luce e materia che trova sviluppo nelle tempere e negli acrilici su tavole bilaminari poco assorbenti.

 

 

Fernanda Fedi

Nata nel 1940 vive ed opera a Milano. Studi artistici nella città di origine ed a Bologna dove si laurea al DAMS. In seguito si perfeziona alla facoltà di Architettura di Milano in “Museologia e Museografia” e segue sempre a Milano corsi di Arte e Terapia. Dopo una lunga ricerca nel campo strutturale (1968-1978): (Quadriennale di Roma, 1975) ed un periodo concettuale in cui domina l’idea di assenza (1979-1982), passa alla scrittura-segno, quale gesto della memoria/mente. La scrittura-segno-calligrafia, sintomo di un disagio interiore, viene spesso associata alla musica, alla poesia all’arcaico. Si sviluppa nel contempo una attività espositiva nazionale e internazionale (Francia, Polonia...).

Dal 1980 si dedica anche al libro d’artista usando materiali diversi. Ricca la bibliografia di cui si ricordano i volumi: “Intorno al segno” - On the Sign - Fernanda Fedi 1968-1988, Endas Ed.; Rossana Bossaglia, Fernanda Fedi - Mostra Antologica 1968-1990, Galleria Civica d’arte moderna di Gallarate; A.a.V.v., Fernada Fedi, Criptogrammi e scritture etrusche, Testuale/Prometheus, 1996.

 

 

Gino Gini

Nato a Milano nel 1939. Gli inizi dell’attività dell’artista (1970-75) si collocano in un’area di lavoro della Nuova Figurazione con implicazioni di ordine surrealista. Nel 1972 entra nel Collettivo Lavoro Uno, con cui effettua interventi artistici nell’ambiente e partecipa nel 1976 alla XXXVI Biennale di Venezia, per il settore “Arte e Ambiente” curato da E. Crispolti.

Gli anni 1976-1980 sono quelli di “The Mythical Image”, il lavoro subisce un radicale cambiamento con un avvicinamento all’area concettuale e l’uso della parola e successivamente della scrittura. Il tema centrale è la rilettura delle immagini più famose dell’arte con materiali non normali (foto, riporti, tele emulsionate, xerox). Tra il 1976/77 nascono i primi libri d’artista. Nel 1978 “The Mythical Image” viene affrontato in ambito Mail-art. Nei primi anni ‘80 e fino al 1989 inizia il ciclo “Viaggio in Italia”. Si intensifica il rapporto tra immagine e parola, la scrittura prende forma di chiosa, tassello pittorico descrittivo, la parola conserva il suo carattere concettuale di orientamento/depistamento, le immagini sono frammenti pittorici di cielo, terra, arte, fotogrammi e altro. Si arricchisce l’aspetto progettuale con una struttura organizzativa degli elementi quasi di carattere architettonico con frecce, riquadri, registri, scansioni.

Nel 1983 viene fondato il Laboratorio 66-Archivio Libri d’Artista diretto dallo stesso Gino Gini che curerà mostre ed iniziative in Italia e all’estero. Dal 1989 al 1996 “Prove e ipotesi di volo”. È il percorso di questi ultimi anni in cui si progettano e ipotizzano eventi di volo in settori di cielo con implicazioni più complesse di ordine pittorico e scritturale. Numerosissime le rassegne sui Libri d’Artista e la presenza in mostre di tendenza Verbo/Visuale. Fra le recenti esposizioni con i Libri d’Artista, luogo privilegiato della ricerca dell’artista  – libri in monocopia, libri fisarmonica, libri xerox, quelle di Mainz (Germania), Lisbona (Portogallo) Chamalieres (Francia). I lavori recenti (1997-98) si inseriscono nel ciclo “Volo Barocco” con accadimenti di volo all’interno di ovali e forme care al barocco fra citazioni manieristiche e ironiche, sempre all’interno del rapporto tra parola e immagine.

 

 

Staffan Nihlén

è nato nel 1929 a Stoccolma in una famiglia di tradizioni culturali che gli ha consentito d’incontrare o stringere amicizia con autori come Karin Boye, Harry Martinson e Stig Dagerman, tanto per citarne solo alcuni. In Svezia, presso l’Accademia Reale di Belle Arti, ha compiuto una parte dei suoi studi nel campo della pittura, della grafica, e della scultura a cui si è dedicato, praticamente in esclusiva, a partire dagli anni Sessanta. La sua formazione si è completata, però, anche in Francia – a Parigi, dove incontra Nicolas de Staël e Bazaine –in Italia – all’Accademia di Belle Arti di Venezia e di Roma, città dove frequenta tra gli altri Twombly, Burri, Fontana e Afro –, e in Inghilterra, a Londra, presso la Saint Martin School of Art, con Anthony Caro; per non dire degli altri suoi soggiorni di studio a Berlino, New York, Madrid, Milano – dove ha conosciuto Marino Marini – e via dicendo. Ha esposto le sue opere in Inghilterra, Svezia, Francia, Norvegia, Germania, Danimarca, Usa e Italia; e i suoi lavori sono presenti in collezioni private e musei prestigiosi. Sposato alla giornalista norvegese Karin Holst, vive tra Lund e Levanto, ma viaggiando di frequente nelle varie città italiane dove può studiare da vicino i capolavori dell’arte mediterranea che tanto ama: le sculture di Antelami, Tino da Camaino, Giovanni Pisano etc. Fra le recenti pubblicazioni: Mediterraneo. Poesia e scultura, Ellerströms, Lund, 1996; Sull’arte (a cura di Daniela Marcheschi) in «Kamen’» n. 10 /1997; la cura delle confessioni e dei pensieri di Marino Marini nei Quaderni di Via del Vento, Pistoia, 1996 (seconda edizione 1997).

 

 

Claudio Rosi

Nato a Zola Predosa (BO) nel 1945; vive e lavora a Bologna, dove insegna presso l’Accademia di Belle Arti. Svolge attività di ricerca dal 1972. Ha approfondito (1972-76) l’indagine sulla potenzialità e possibilità del mezzo fotografico, ricercandovi analiticamente, per trasformazione nuovi esiti e concetti pittorici. Si è occupato di scultura (recupero del cotto 1976-78) intendendola come complementare alle installazioni d’ambiente. Contemporaneamente e fino al 1979, ha sviluppato una progressiva ricerca grafico-pittorica. Dal 1979-1987, senza citare, ha stimolato la memoria culturale dell’astratto, del gestuale e dell’informale riducendo al presente, spesso con ironia, la visione del passato (materiali fluorescenti-fosforescenti-metallici). Nel 1989 entra in una fase più progettuale, nell’idea di spazio consapevole all’interno di una rappresentazione immediata, assumendo poi un linguaggio con valenza duplice di luogo della comunicazione e di oggetto della stessa come contenitore di materiali linguistici, in un progetto di riutilizzazione-conservazione del proprio materiale poetico per una sorta di autocitazione. Dal 1990 analizza concettualmente l’opera “dentro” valutandone il progetto ciclico, per poi portarne il contenuto, con l’uso di una pluralità di linguaggi, dall’interno all’esterno e viceversa. La sostanza del tutto si realizza attraverso una composizione “dinamica”. Espone dal 1972 in mostre personali e collettive, in gallerie private e presso Enti Pubblici.

 

 

Fabio Scatoli

è nato a Legnano nel 1955. Le sue prime ricerche si sono mosse sotto l’influenza dell’informale europeo ed americano e dello spazialismo. Dalla seconda metà degli anni Ottanta inizia una ricerca ambientale polimaterica che lo porta ad esporre oltre che sul territorio nazionale, in Svizzera e negli Stati Uniti. Negli anni Novanta ritorna alla bidimensionalità ed all’utilizzo di tarsie metalliche (piombo, rame, ottone) e di catrami. Tale bidimensionalità viene anche mantenuta nei piccoli lavori su stelo e nelle “Steli” di medie dimensioni a parete.

 

 

 

Manuela Traini

Nata a Milano nel 1959 ed ora residente a Perugia. Opera in campo artistico da oltre un ventennio; da un iniziale interesse per i metalli, con la produzione di gioielli d’arte (gioielli di segno, piccole sculture da indossare), il suo lavoro si è mosso verso un’indagine pittorica e scultorea privilegiando opere su carta e tecniche miste in cui è prevalente il tema dell’abbandono e del luttuoso. Persistente è anche la memoria di un’immaginario “barocco” con il gusto per l’ improbabile e l’improbo per la tecnica difficile che la porta ad unire, per esempio, l’opera grafica a tessiture in metalli quali piombo e ottone oppure a panneggi. È stata nei primi anni Novanta animatrice del gruppo culturale di via Aurora promuovendo a Perugia, incontri con personaggi di diverse discipline. Attualmente insegna all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro.

 

 

 

William Xerra

Nato a Firenze, nel 1937, vive attualmente nei pressi di Piacenza. è nell’attenzione all’informale d’oltralpe ed alle tematiche del segno e della materia che a metà degli anni Sessanta avvengono le prime ricerche dell’artista. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio di quelli Settanta l’attenzione si sposta al tema dello spazio sia in ambito serigrafico che in ricerche ambientali.

Nel 1967 la frequentazione di poeti ed intellettuali cresciuti nell’ambito del Gruppo ’63 induce nell’artista i primi interessi per la poesia visiva e a tematiche di intersezione fra pittura e scultura. Nel 1968 partecipa alla “Expo Internaciónal de novissima poesia” a Buenos Aires, in questi stessi anni vengono realizzati i primi libri-oggetto, così come ha inizio il sodalizio con Corrado Costa e la collaborazione con Pierre Restany.

Nel 1972 fa la sua comparsa il “VIVE” sulle stampe tipografiche ripetutamente sovraimpresse e quindi scartate. Tale ricerca rimane costante negli anni successivi e si concentra sui valori testuali del segno pittorico. Tra il 1970 e l’inizio degli anni Ottanta, utilizza anche la performance come mezzo espressivo per azioni rivolte all’ambiente, alla situazione sociale e politica, al confronto con la storia dell’arte. Nel 1978 partecipa con una istallazione video alla mostra “Venerezia” allestita a palazzo Grassi. Del 1979 è percorso rituale nei sassi di Matera e degli anni Ottanta un deciso ritorno alla pittura.

Alla fine degli anni Ottanta accetta grandi commissioni di affreschi in Arabia Saudita e all’inizio degli anni Novanta in una villa patrizia nelle campagne di Ascoli Piceno, come ritorno al “gesto ambientale” alla riflessione sulla grande dimensione. In questi anni si occupa anche di design progettando oggetti di arredamento e suppellettili.

Nel 1991 partecipa a “Metafora dell’oggetto” al centro Domus di Milano. Nel 1993 è presente alla XVL Biennale di Venezia e a quella di Chicago.

Numerose le monografie: cfr. quella di Gillo Dorfles (Prearo), di Aldo Tagliaferri (Mazzotta), di Arturo Carlo Quintavalle (Skira), etc.

 



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

Petite Plaisance Editrice
Associazione Culturale senza fini di lucro

Via di Valdibrana 311 51100 Pistoia tel: 0573-480013

e-mail: info@petiteplaisance.it

C.F e P.IVA 01724700479

© Editrice Petite Plaisance - hosting and web editor www.promonet.it